Un 15enne di Ponticelli ha inviato delle foto alla nostra redazione chiedendoci di realizzare un video “per far capire ai miei coetanei che non si risolve nulla con la criminalità”.
Una richiesta accorata e sincera che nasce da un’esigenza precisa: dare voce a chi non viene ascoltato, capito, compreso ed aiutato. Si è parlato tanto di baby gang nel periodo in cui “il caso è esploso”, ma – come il 15enne sottolinea – “nessuno parla con questi ragazzi per fargli capire i loro sbagli.”
Il 15enne racconta che quelli ritratti in foto “sono ragazzi che hanno tanta voglia di cambiare, ma non ci riescono. Per questo motivo spero che questo video e le mie parole servano a far capire ai ragazzi come me che la criminalità non è una cosa giusta e che farsi grandi davanti alle ragazze o davanti ai ragazzi, più piccoli e più grandi, non porta a niente. Anche io prima imitavo chiunque, poi un giorno dei ragazzi più grandi e i miei genitori mi hanno fatto capire cosa è giusto e cosa è sbagliato. Come sono cambiato io, spero che cambino tutti gli altri.”
Bocciato tre volte alle medie, cosa piuttosto frequente in un quartiere che vanta il più elevato tasso di dispersione scolastica d’Italia, ma consapevole di aver perso anni ed opportunità preziose, il 15enne, oggi, frequenta assiduamente la scuola, guardandosi bene dal tenersi alla larga da quel genere di “perdite di tempo” che rappresentano il vicolo cieco che molti giovani disagiati, più o meno consapevolmente, si ritrovano ad imboccare.
Non solo le assenze a scuola per trascorrere intere mattinate a girovagare, ma anche “le serate in discoteca, fumare e bere, e poi a prendersi a pugni magari per una guardata. Ci sono ragazzi che la sera escono di casa con l’intenzione di fare a pugni. Lo fanno per sentirsi più forti. Fino a un paio di anni fa anche a me è capitato un sacco di volte di fare a pugni, ma solo per difendermi, perché non sono mai stato il tipo che diceva “mi stai guardando?” per cercare il pretesto per aggredire gli altri. Ho incontrato tanti ragazzi, a Napoli centro e sul lungomare che con queste frasi stupide attaccavano bottone per finire alle mani.”
Pistole finte, smanettate ed esibite con orgoglio, tirapugni, bastoni e coltelli da collezionare ed ostentare come reliquie: “sono sbagli che facciamo perchè nessuno ci aiuta in nulla.” Li definisce così il 15enne che poi racconta che quelle armi ritratte nelle foto che anche lui negli anni precedenti ha pubblicato sui social, in realtà, non le ha mai usate e che a riprova della maturata volontà di cambiare, le ha buttate tutte un paio di anni fa. In quel passato fatto di bagordi, nonostante sapesse che poteva essere “necessario” fare a botte per difendersi, non ha mai sentito il desiderio di utilizzarle. Quelle armi erano solo l’oggetto da sfoggiare nello shooting fotografico da pubblicare sui social per attirare consensi, per farsi guardare e per essere accettato in quanto fedele osservatore di quei comportamenti stereotipati ai quali devono attenersi i giovani del quartiere e dei quartieri in cui regnano regole e dinamiche simili a quelle di Ponticelli. Il giovane spiega che quella di fotografarsi maneggiando armi di qualunque tipo o assumendo pose da duro è una vera e propria moda che dilaga tra i giovani, abituati anche a “scambiarsi” bastoni e tirapugni, come un tempo si faceva con le figurine degli album dei calciatori.
E non è tutto.
I cani dalla stazza e dalla fama aggressiva ricoprono un significato, un valore, un ruolo ben preciso nella divulgazione del linguaggio 2.0 masticato dalla malavita minorile: pitbull, rottweiler da portare in giro al guinzaglio, rappresentano un segnale di pericolo, un monito a non avvicinarsi. “Qua si fa a gara a chi a più cani e a chi ce l’ha più pericolosi.”
Il 15enne proviene da una famiglia modesta, i suoi genitori lavorano onestamente, collezionano dignitosi sacrifici e quando hanno scoperto “i pezzi della collezione” non hanno esitato a buttarli via. “Mi facevano le ramanzine e mi mettevano in punizione, ma non penso che abbiano mai capito quello che facevo quando uscivo.”
Risse, alcool e droga: quali sono i campanelli d’allarme che permettono ad un genitore di capire che il figlio sta prendendo una brutta strada?
“Devono osservare con attenzione gli atteggiamenti del figlio: magari fa un po’ più tardi la sera o è un po’ più strano, sfuggente, di poche parole, vago nelle risposte e con poca voglia di fare domande, sperando che così non gliene vengano fatte, soprattutto su quello che fa e dove va quando esce di casa.”
Quali sono le differenze tra la vita che facevi prima e quella attuale?
“Prima intimorivo tutti e nessuno parlava mai con me, mentre ora sono amato da tutti e mi sento accettato per quello che sono. “
Che cosa vuoi dire ai tuoi coetanei?
“Che devono capire che la criminalità non porta a niente e che devono realizzare i propri sogni. Un’arma non ti fa più uomo: questo vorrei che capissero i ragazzi come me, mentre le persone adulte che giudicano questi ragazzi con disprezzo, vorrei che capissero che hanno bisogno di essere guidati per capire la differenza tra bene e male, tra cosa è giusto e cosa è sbagliato. Per chi cresce in contesti più facili e meno disagiati, certe cose sono scontate. Per i ragazzi come me no, perchè è più facile vedere la strada sbagliata che quella giusta. A questi ragazzi manca un aiuto, gli manca qualcuno che gli spieghi che stanno sbagliando e che la criminalità non porta a niente.”
Eloquente, in tal senso, uno dei tanti post pubblicati sui social che ci ha inviato il 15enne: “Quando ti chiedono: “di dove sei?'” e tu rispondi: “di Ponticelli”, non ti rispondono più.
O ti evitano o finisce lì la conversazione, come se Ponticelli fosse una minaccia, ma sapete, voi potete anche essere del Vomero, non significa che siete signori, come essere di Ponticelli non significa essere delinquenti.”