Una guerra, ostinata e silenziosa, quella che si combatte a Ponticelli, iniziata lo scorso 27 novembre: giorno in cui sono scattate le manette per 23 persone ritenute contigue al clan De Micco, il sodalizio camorristico che è riuscito in breve tempo ad imporsi, colmando il vuoto di potere scaturito in seguito al declino dei Sarno, mettendo all’angolo le carcasse dei clan D’Amico e De Luca Bossa, riuscendo in breve tempo a prendere il controllo delle attività illecite tra le strade di un quartiere dove lo spaccio di droga rappresenta il business d’oro della malavita.
Dalle estorsioni ai commercianti al pedaggio del pizzo sulle piazze di droga, senza tralasciare il contrabbando e molte altre attività poco nitide, negli ultimi anni Ponticelli era completamente sotto lo scacco dei De Micco, il clan dei tatuati, “i Bodo”, soprannome derivante dal nomignolo attribuito a Marco De Micco, il giovane fondatore dell’organizzazione che ha gestito con l’aiuto dei fratelli Salvatore e Luigi, partendo dalla gestione di una piccola piazza di spaccio per conto dei clan di Barra, nell’era post-Sarno.
Proveniente da una famiglia benestante ed estranea alla malavita, il giovane De Micco vide nel modello malavitoso un business nel quale investire per fare soldi, lui che di capitale e di carisma ne aveva da vendere e comprese che se fosse stato in grado di spendere bene entrambi, sarebbe riuscito a diventare “il capo”.
Ben presto, in effetti, in virtù dei numeri da capogiro incassati dalla “piazza gestita dal Bodo”, il giovane De Micco decise di mettersi in proprio, senza, però, urtare la suscettibilità dei barresi: da fine stratega quale era, comprese che quella era la mossa sbagliata da non fare per non entrare in contrasto con i clan già consolidati, rischiando di stroncare sul nascere le sue velleità. Ben presto Marco viene adorato, rispettato ed osannato come un mito, un eroe, una divinità dai giovani del quartiere che vedono in lui un modello da seguire e rispettare, in quanto simbolo di successo, riscatto, potere.
“Fedeltà”, “onore”, “rispetto”: questi i tatuaggi che quei giovani si scalfiscono sulla pelle, unitamente a quel soprannome, “Bodo”, per suggellare il patto di eterno servilismo con il clan De Micco. Così è stato, anche dopo l’arresto di Marco e di suo fratello Salvatore, “i Bodo” erano un vero e proprio esercito, capace di disporre di un considerevole numero di reclute, oltre che di un attrezzatissimo arsenale di armi, sequestrato contestualmente all’arresto che ha sancito la resa del clan.
Moltissime le reclute del clan D’Amico passate al servizio dei De Micco, quando i ras del Rione Conocal hanno perso la guerra contro i Bodo, troppo forti, troppo ben organizzati per cedere il passo e il posto ad altre forze criminali.
Ne erano consapevoli “i vecchi clan”, le organizzazioni che in seguito alla disfatta del clan Sarno hanno scelto di mettersi in proprio, rinnegando le scelte e le dichiarazioni rese dai collaborazioni di giustizia. Dozzine e dozzine di “uomini d’onore” scelgono di scontare la pena per intero, pur di non venire meno alle regole d’oro della malavita. Le donne, ma anche i figli, seppure giovanissimi, subentrano nella gestione delle dinamiche malavitose ed è così che, grazie a vincoli di parentela e “forti amicizie”, nascono una serie di alleanze che portano i clan del Rione de Gasperi e del Lotto O di Ponticelli ad allearsi con quelli di Barra e San Giovanni a Teduccio. I De Micco annusano nell’aria le intenzioni dei nemici che stavano tentando di unire le forze per metterli all’angolo, oltre che per vendicarsi dei torti subiti – soprattutto degli omicidi eccellenti messi a segno dai Bodo per imporre la propria egemonia criminale – e in più frangenti mettono a segno delle “spedizioni punitive” volte ad indurre i rivali ad abbandonare l’idea di sfidare la loro forza.
Nell’estate del 2017 si registrano i due sussulti più degni di nota: la rivolta dei gestori delle piazze di droga residenti nei pressi del cimitero di Barra che rifiutavano di corrispondere il pedaggio del pizzo ai Bodo e l’agguato avvenuto sul finire di agosto, nei pressi della villa comunale di Ponticelli. Un giovane a bordo di un’auto, con il volto coperto da una maschera, indirizzò diversi colpi contro uno degli elementi di spicco del sodalizio emergente che verrà arrestato per estorsione all’incirca un mese dopo quel raid che poteva costargli la vita.
La camorra emergente – ovvero il sodalizio criminale nato in seguito ad una serie di alleanze strategiche tra i clan di Napoli est “anti-De Micco” – non dispone della forza e del coraggio necessari per affrontare a viso aperto il clan dei tatuati, fino a quando dispone appieno delle proprie potenzialità, in termini di armi e reclute.
La scena cambia immediatamente, in seguito agli arresti dello scorso 27 novembre: “le pazzignane”, ovvero, le donne legate al clan Schisa a capo di alcune piazze di droga nel Rione De Gasperi, vanno immediatamente ad affrontare a muso duro quello che resta del clan De Micco, palesando la volontà di non corrispondergli più il pizzo per le loro piazze. Nasce così una guerra a suon di “stese” che si alternano da mesi, su un fronte e sull’altro.
I De Luca Bossa, smaniosi di tornare a manifestare la loro presenza sotto il profilo camorristico, danno il via ad una serie di azioni piuttosto esplicite.
Vengono cacciate in malo modo le imprese di pulizie operanti nei rioni di competenza della “camorra emergente” gestite dai De Micco. A finire nel mirino del nuovo sodalizio criminale, in particolare, è la ditta gestita dai familiari di un ex elemento di spicco del clan Sarno, oggi diventato collaboratore di giustizia.
Anche le minacce rivolte ai parenti dei pentiti diventano di giorno in giorno più esplicite: auto incendiate, bombe lasciate esplodere nei pressi delle abitazioni di “obiettivi sensibili”, messaggi intimidatori di vario tipo, pregni di odio e rancore che lasciano intendere che se nell’era dei De Micco, la contiguità agli ambienti malavitosi poteva garantire l’immunità ai parenti dei pentiti dei Sarno, adesso che “comandano loro” la scena è cambiata.
Allo stato attuale, sono all’incirca 50 le persone ritenute vicine agli ambienti malavitosi, legate in vario modo a collaboratori di giustizia del clan Sarno, che sono state costrette ad allontanarsi da Ponticelli per volere esplicito del nuovo sodalizio criminale, attualmente dominante.
Lasciare il quartiere per sfuggire alla morte: un segnale di sottomissione e predominio tutt’altro che trascurabile e sul quale “la camorra emergente” sta spingendo per disseminare timore e consolidare la propria autorevolezza e rispettabilità. Un monito forte che lascia intendere che il controllo del territorio, adesso, è nelle mani dei De Luca Bossa e company e che mostra “la lunga memoria” di cui dispone la camorra. Non hanno dimenticato torti ed affronti e soprattutto manifestano il desiderio di “chiudere i conti aperti”, soprattutto con quella pagina di storia che ha devastato molte vite e che i Sarno, con le testimonianze rese allo Stato, hanno concorso a scrivere. Un tempo amici, alleati, tutti membri di un clan rimpianto da tanti e per tanti motivi; oggi rivali, avversari, pronti a tutto pur di rimarginare le ferite inferte dal crollo di quell’impero stroncato dalla più imperdonabile delle decisioni: rinnegare la camorra per passare dalla parte dello Stato.
Al contempo, molti fedelissimi dei De Micco sono “passati dall’altra parte”, concorrendo così ad indebolire il clan dei “Bodo” nel momento di maggiore difficoltà, spianando la strada all’ascesa della “camorra emergente”. Quello che è avvenuto in molti altri quartieri e nel corso di molte altre faide, oggi, sta accadendo, per l’ennesima volta, anche a Ponticelli. Altri hanno scelto di “mettersi in proprio”, limitandosi a gestire piccole piazze di droga, per le quali corrispondono un’esigua somma mensile ai “nuovi padroni del quartiere”.
Tanto basta, in questo momento storico, per assicurarsi il quieto vivere a Ponticelli.