Giuseppe Esposito detto ‘o maccarone, è stato uno degli elementi di spicco del clan Sarno di Ponticelli. Cugino dei fratelli Ciro, Vincenzo, Giuseppe, Luciano e Pasquale Sarno, è stato uno dei protagonisti della strage del Bar Sayonara, un’azione camorristica che il giudice Antonella Terzi nell’ordinanza di custodia cautelare descrisse così: «Ho cercato invano nel mio limitato vocabolario aggettivi che potessero rappresentare i sentimenti suscitati dalla vicenda oggetto della richiesta cautelare. Nessuno, tra quelli che mi venivano alla mente (feroce, folle, crudele, insensato) mi è parso adatto a descrivere l’orrore di quel tragico tardo pomeriggio di un ormai lontanissimo novembre del 1989». «Quel che accade è davvero troppo. Ed è troppo persino per gli ideatori ed artefici del gesto, che ne ricevono o ne riportano la notizia con inusuale sgomento. “Le mani nei capelli” sono la visibile manifestazione di un raccapriccio cui non riescono a sottrarsi neppure delinquenti incalliti, già rotti ad ogni esperienza».
Fu proprio ‘o maccarone a portare al mandante della strage, Ciro Sarno, le prime notizie dal luogo dell’agguato: «Io e mio fratello – si legge nella deposizione di Ciro Sarno – ci andammo a posizionare su un lastrico solaio di un edificio del parco Vesuvio, da cui si dominava tutta la scena e l’intero rione. Le prime notizie che mi giunsero, portatemi da mio cugino Esposito Giuseppe “’o maccarone” erano drammatiche per due ordini di ragione, sia perché mi diceva che non era stato ucciso nessuno degli uomini dell’Andreotti sia perché mi aggiungeva erano state uccise persone innocenti. Solo successivamente si apprese che invece, era rimasto a terra, oltre a quattro vittime innocenti, anche Borrelli Antonio e colpito Vincenzo Meo, che morì dopo qualche giorno in ospedale. Le auto con i killer andarono via dopo l’azione recandosi a Barra dove c’era ad attenderli Gennaro Aprea. Durante il percorso gli autori della strage furono costretti ad abbandonare una delle macchine; l’altra invece venne dato alle fiamme nelle zone di Barra. Dopo un paio di giorni, nei quali io e mio fratello Giuseppe ci allontanammo dal rione, nell’incontrarmi con De Luca Bossa Umberto pretesi da lui spiegazioni su come potesse essere successa quell’incredibile strage. Egli si giustificò dicendo che il suo obiettivo, Borrelli Antonio, era riuscito a colpirlo, inseguendolo fino a dentro la gelateria, per cui non era riuscito a controllare e a dirigere l’azione degli altri, che avevano sparato all’impazzata».
Le dichiarazioni fornite dagli ex malavitosi diventati collaboratori di giustizia, hanno contribuito a far luce su quello e su altri fatti di camorra, contribuendo a determinare pesanti condanne per molti affiliati alla cosca che per circa un trentennio tenne sotto scacco l’entroterra vesuviano. In seguito al declino del clan Sarno, quando i cugini hanno iniziato la conversione da boss a collaboratori di giustizia, le redini del clan passarono proprio tra le mani di ‘o maccarone che lo guidò nel periodo in cui scoppiò una faida interna, in seguito al passaggio di ex gregari tra le fila del clan D’Amico del Rione Conocal.
Oggi, ‘o maccarone ha 53 anni ed è nuovamente balzato agli onori della cronaca a seguito di alcune dichiarazioni rilasciate di recente. Esposito afferma di aver ricevuto il benservito da parte dello Stato dopo 7 anni, in quanto – a suo dire – sarebbe stato estromesso dal programma di protezione senza motivo. Denuncia di non riuscire ad andare avanti e di essere preoccupato per il bimbo di due anni che nel frattempo ha messo al mondo, proprio mentre era sotto protezione. A suscitare l’ira dell’ex affiliato alla cosca numero uno di Ponticelli è la recente decisione di allontanare dal quartiere ed inserire in un programma di protezione all’incirca 60 persone imparentate ai Sarno, in seguito agli omicidi di Mario Volpicelli – cognato dei Sarno, in quanto sposato con una sorella degli ex boss – e Giovanni Sarno, nell’ambito di quella che fu ribattezzata “la vendetta contro i parenti dei pentiti dei Sarno“. L’uomo, facendo riferimento esplicito agli omicidi avvenuti all’inizio del 2016 e che vengono stimati essere una reazione del braccio armato del clan che ancora cerca di sopravvivere alle prime condanne per la strage del Bar Sayonara, non si spiega perchè, invece, la Procura di Napoli ha scelto di estromettere dal piano di protezione proprio lui che è stato uno dei fondatori del clan.
“Posso uscire di casa per tre ore al mattino e tre ore la sera, ma dove vado? Non ho neanche i soldi della spesa. – si legge nelle dichiarazioni rilasciate da Giuseppe Esposito – E non posso andare da nessuna parte a chiedere lavoro. Chi mi prende a questa età e con il mio curriculum criminale? Papa Francesco, il cardinale Sepe e tanti parroci napoletani invitano sempre i camorristi a pentirsi, a convertirsi, a deporre le armi. Io l’ho fatto e a cosa è servito? E’ giusto che io sia stato abbandonato come un giocattolo che non piace più? Che devo fare? Mettermi una corda al collo?“