È un gioco che si colloca a metà tra la tombola e la roulette, il suo nome deriva dal paese d’origine “Biribiss” (Spagna) ed ha attraversato tutta l’Italia, da Genova a Milano per poi sbarcare a Napoli.
Qui è stato accolto dal calore di una città infatuata, da tempo immemore, del gioco d’azzardo. Stiamo parlando del “biribisso”, uno dei giochi di maggiore successo nel mondo delle élite settecentesche. Uno dei rari esemplari di tavola per il gioco del “biribisso” è conservato proprio in terra campana, presso il Museo Correale di Terranova (Sorrento).
Il “biribisso” è un gioco d’azzardo che prevede l’utilizzo di una tavola formata da 36 figure. Ad ogni figura, che corrisponde a un personaggio, un animale, un vegetale o riproduce stemmi araldici, è associato un numero. Nel corso del tempo il gioco si evolve e le figure passano da 36 a 70, fa riferimento a quest’ultima versione la tavola custodita nel Museo Correale.
Due delle figure rappresentano un esplicito rimando alla commedia dell’arte napoletana, riproducendo, rispettivamente nella casella numero 33 e nella 36, “il Pulcinella” e “la Pulcinella”. La presenza di un banditore accomuna il “biribisso” con la tombola.
Sulla casella desiderata ogni giocatore dispone il denaro pari alla puntata. Terminate le scommesse, il banditore procede con l’estrazione di palline di cartapesta su cui sono riportati i numeri.
Alcune regole del “biribisso” sono state reinterpretate e trasposte nella roulette, intramontabile gioco d’azzardo nato in Italia e ancora oggi uno dei più apprezzati: pensiamo al successo riscosso dalle roulette gratis tra gli amanti del gioco online.
La struttura di gioco del “biribisso” si prestava al raggiro degli scommettitori, grazie alla selezione dei numeri giusti in fase di estrazione. Ciò ricorda un’espressione del genio napoletano, l’opera teatrale “Quei figuri di trent’anni fa”, scritta da Eduardo De Filippo.
L’atto unico del drammaturgo partenopeo racconta le vicende legate a una bisca, frequentata da ex galeotti in cerca di sprovveduti da raggirare, nascosta dietro a quello che avrebbe dovuto essere un rispettabile “Circolo della caccia”.
Eduardo fa indirettamente riferimento all’intramontabile predilezione del popolo campano per il gioco. Non è un caso che la tombola sia stata concepita a Napoli nella prima metà del 700’ come alternativa, in ambito domestico, al lotto. E l’irresistibile attrazione per il gioco d’azzardo è ancora intatta, come dimostrano i dieci miliardi di euro spesi nel 2016 in Campania.