Nel corso delle ultime ore i riflettori sono nuovamente puntati sui “Pazzignani”, l’organizzazione camorristica nata nel Rione Pazzigno di San Giovanni a Teduccio – dal quale prende il nome – e dirottata nel Rione De Gasperi di Ponticelli, contestualmente alla nascita del clan Sarno.
Complice l’operazione compiuta dalla Polizia di Stato, su disposizione della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli che ha portato all’emissione di 17 ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di esponenti del cartello criminale ritenuto a capo di un traffico di droga internazionale che riforniva le piazze di spaccio della periferia orientale di Napoli controllate dai “pazzignani”.
Gli indagati sono ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione finalizzata al traffico e alla commercializzazione di sostanze stupefacenti e detenzione e porto di armi da guerra, in virtù del fatto che nel corso dell’operazione che ha visto impegnati oltre 100 uomini in divisa è stato rinvenuto un ingente quantitativo di armi.
Dalla Colombia e dall’Olanda, dunque, provenivano gli stupefacenti che poi venivano venduti nelle piazze di droga di Napoli est, in particolare a Ponticelli e San Giovanni a Teduccio, nel Rione Pazzigno e nel Rione De Gasperi, i due quartier generali dei pazzignani nei quartieri della periferia orientale di Napoli, ma che venivano trasportati anche a Massa Carrara, Latina e Frosinone.
Chi sono i Pazzignani?
Tutto ha inizio con Luigi Piscopo detto ’o pazzignano, consuocero di Ciro Sarno, condannato all’ergastolo in quanto “presunto uditore” della strage del Bar Sayonara, seppure lo stesso “sindaco” – questo il soprannome di Ciro Sarno, derivante dal ruolo di spessore che il boss di Ponticelli deteneva nell’assegnazione degli alloggi popolari nel Rione De Gasperi, il bunker del clan che aveva fondato insieme ai fratelli Vincenzo, Giuseppe e Luciano – oggi collaboratore di giustizia, si sia ampiamente addossato le responsabilità di quella strage, indicandosi come la mente ideatrice di quella mattanza.
Luigi Piscopo ha scelto di scontare la condanna, pagando, dunque, il suo conto con lo Stato e dopo il tracollo dei Sarno, in seguito al pentimento delle figure-chiave del clan, anche tra i Pazzignani si sono registrate diverse reazioni.
Una famiglia grande che conta numerose reclute, complici i matrimoni con esponenti di altri cartelli criminali che soprattutto oggi a Ponticelli, in seguito al blitz che lo scorso novembre ha ridimensionato l’egemonia dei De Micco, stanno manifestando la volontà di scalzare definitivamente i “Bodo” per conquistare il controllo dei traffici illeciti nel quartiere.
Tuttavia, la pesante condanna inferta al capo dei pazzignani, unitamente al tracollo dei Sarno, ha letteralmente spaccato in due la famiglia Piscopo.
Su un versante c’è chi continua a covare vendetta e brama di potere, crescendo i figli nel culto e nel rispetto delle regole della camorra, dall’altro chi ha deciso di chiudere con quel passato doloroso e burrascoso per costruirsi una nuova vita.
Alcuni membri della famiglia Piscopo, dopo aver saldato i conti con la giustizia, scontando le pene per i reati di cui si sono resi autori, hanno maturato una forte consapevolezza: il carcere è duro e non vale la pena di perdere il bene più prezioso che possiede un uomo, la libertà, per servire la camorra. Quindi si dissociano dalle gesta dei familiari che invece continuano a manifestare la volontà di servire la camorra, per cambiare vita: un lavoro onesto, lontano dal malaffare, in grado di garantire un’esistenza tranquilla, senza temere per l’incolumità dei propri cari, imponendo ai figli di imparare dai loro errori e da quelli commessi dal nonno “pazzignano”, tenendosi lontano dalla vita criminale, dalle sue regole e dalle sue fascinose provocazioni.
Una decisione forte che probabilmente non va giù alla compagine malavitosa della famiglia Piscopo che mira a proporre tutt’altra immagine: quella di una famiglia unita, numerosa e agguerrita. Per questo motivo la figura di Luigi Piscopo, in quanto leader carismatico e figura camorristica legata a un passato “glorioso”, viene riproposta, seppur in maniera impropria e perfino all’insaputa del diretto interessato per appagare “le manie di grandezza” della fazione camorristica della famiglia Piscopo.
Complici i social, la macchina virtuale tanto popolare quanto pericolosa, fin troppo abile a creare falsi miti da emulare, la figura di Luigi Piscopo viene affiancata a quella di altri elementi di spicco del clan Schisa, con i quali i Pazzignani si sono imparentati andando a costituire una “famiglia allargata”, con il chiaro intento di lanciare un messaggio esplicito “a tutti”: il potere del clan che sta cercando di risorgere dalle ceneri del Rione De Gasperi passa attraverso “gli eroi del passato” attualmente detenuti, sognandone il ritorno in libertà per rimettere insieme tutti i pezzi e conquistare lo scettro del potere del male a Ponticelli.
Allo stesso modo, viene riproposta un’immagine di Luigi Piscopo, mentre solleva una mano in segno di saluto, quando gli fu accordato un permesso premio per far visita alla sorella moribonda, come emblema dell’egemonia che l’ex boss deterrebbe ancora. In realtà, quell'”estremo saluto” Piscopo lo rivolge proprio alla sorella, consapevole del fatto che non la rivedrà mai più. Almeno non in questa vita.
Potrebbe definirsi una “fake news” divulgata dal cartello criminale denominato “camorra emergente” per rilanciare le proprie quotazioni in chiave camorristica, giocando “un jolly importante” in un momento in cui sul quartiere spira forte il vento della guerra tra clan per la contesa del territorio.
Una famiglia, quella dei Piscopo, che nelle sue mille sfaccettature contiene tutto: l’odio verso i “Pentiti”, l’esaltazione e l’emulazione di una visione distorta della realtà, dove il nemico è lo Stato, perchè sottrae i camorristi alle famiglie, in quanto autori di omicidi ed altri gravi reati, l’incapacità di deporre le armi, anche quando la partita è persa, andando incontro a una morte certa o a forti pene detentive, pur di non cedere il posto “al nuovo che avanza”, in un pericoloso mix tra la malinconia legata al glorioso passato dell’era dei Sarno e l’utopistico desiderio di emulazione del clan di un tempo con il quale si guarda al futuro.
Una famiglia dalla quale trapela anche un’altra verità, fatta di una riabilitazione sociale, frutto di un percorso detentivo efficace, grazie al quale è maturata la consapevolezza dei propri errori, insieme alla volontà di non sciupare l’opportunità insita nel “ritorno alla vita” dopo la scarcerazione, ripartendo da zero per costruire una nuova esistenza, per sè stessi, ma soprattutto per i loro figli, nati nel segno della camorra, ma cresciuti nel rispetto delle regole dello Stato.