Mentre il mondo hollywoodiano è in subbuglio per le accuse di molestie sessuali che continuano a travolgere il produttore cinematografico Harvey Weinstein, anche lungo le strade di Ponticelli, quartiere della periferia orientale di Napoli, si sta sviluppando uno “scandalo” che a suo modo ripercorre dinamiche e caratteristiche di quello scattato in seguito alla denuncia di Asia Argento.
E’ bastato che l’attrice italiana affrontasse la questione per permettere ad altre colleghe vittime dello stesso produttore o di altri suoi colleghi di rendere pubbliche le molestie subite. Un muro di paura, remore e reticenza che ha iniziato a sgretolarsi, confessione dopo confessione, toccando e scuotendo le coscienze di tante altre donne, non necessariamente collegate al mondo del cinema: segretarie, dipendenti, donne comuni, vittime di molestie e “attenzioni speciali” da parte dei datori di lavoro hanno iniziato a fare lo stesso, trovando il coraggio di raccontare gli episodi “spiacevoli” che sono state costrette a subire. Una sorta di catena virtuale di solidarietà dalla quale le donne vittime di molestie hanno attinto il coraggio necessario per scrollarsi quel peso dalla coscienza.
Una reazione psicologica globale che ha coinvolto milioni di donne in tutto il mondo, complice l’enorme forza mediatica dei social.
Anche a Ponticelli, nel corso delle ultime settimane, si sta registrando un episodio che nasce proprio da questo principio: è bastato lo sfogo pubblico di una giovane attraverso i social per far scattare l’indignazione collettiva che ha indotto le altre vittime dello stesso male a farsi avanti per raccontare anche la loro verità. Molestie sistematiche e seriali che silenziosamente si consumano davanti agli occhi di spettatori conniventi e impassibili.
Al centro della scena ci sono sempre loro, le baby gang, quelle che amano ammazzare il tempo seminando terrore e violenza lungo le strade della loro stessa quotidianità per incutere rispetto e timore o semplicemente per emulare quel modello malavitoso tanto in voga tra i “ragazzi difficili”.
A prescindere dai fattori scatenanti, il dato di fatto oggettivo è sempre lo stesso e si ripete nei racconti di tutte le vittime: gruppi di ragazzini che prendono di mira ragazze che camminano per strada da sole per palparle, molestare, schernirle, insultarle.
Tantissimi i casi denunciati pubblicamente, attraverso i social o messaggi giunti alla nostra redazione, dopo l’articolo in cui riportavamo quanto accaduto ad una 20enne mentre passeggiava lungo Corso Ponticelli. Ragazze di età compresa tra i 14 e i 21 anni che riferiscono di molestie avvenute lungo le strade principali del quartiere, ma anche in un luogo affollato e frequentato, come il Centro Commerciale Auchan di via Argine.
Particolarmente significativa la testimonianza di una 17enne che racconta di aver subito molestie da parte di un gruppo di ragazzini davanti a tantissime persone impassibili e perfino compiaciute da quello che accadeva.
La giovane racconta di aver raggiunto il centro commerciale in autobus per comprare un regalo ad un’amica: “ho preferito uscire a quell’ora, prima che facesse buio, proprio per evitare che potesse accadermi qualcosa di brutto. Sono arrivata verso le 15.30 e mentre ero sulla scala mobile sono stata avvicinata da 4 ragazzini che non avranno avuto più di 12 anni ciascuno.
Hanno iniziato ad alzarmi il cappotto chiedendomi di fargli vedere il mio sedere. Spazientita e anche un po’ spaventata dai loro modi aggressivi e scostumati, gli ho chiesto di lasciarmi in pace, ma più gli dicevo di smetterla e più si prendevano confidenza. Hanno iniziato a dire che se mi davo troppe arie “me lo avrebbero messo in bocca” e che mi avrebbero infilato un dito dentro per controllare se ero ancora vergine ed altre volgarità simili. Intanto continuavano a mettermi le mani addosso.
Era come se fossi sola contro di loro, anche se c’erano delle persone presenti. Guardavano, qualcuno rideva, ma nessuno è intervenuto per allontanarli da me.
Allora, ho fatto l’unica cosa che potevo fare: sono entrata in un negozio e ho fatto finta di dover comprare qualcosa. Ho aspettato tanto tempo, prima o poi si scocceranno di aspettare, magari troveranno un altro passatempo e io sarò “salva”, mi sono detta. E così è stato.
Prima mi hanno lanciato degli insulti e poi sono andati via. Urlavano che gli avevo dato appuntamento lì per “appartarmi con loro in bagno” e che poi mi ero tirata indietro. E altre cose brutte, molto brutte sul mio conto. Non so perchè hanno detto così, non so chi siano quei ragazzini. So solo che mi sono vergognata tantissimo. Non avevo neanche portato il cellulare con me, perchè avevo paura di subire qualche rapina. Avrei tanto voluto telefonare mia madre per chiederle di venirmi a prendere, ma anche se avessi avuto il telefono, non penso che l’avrei fatto, non avrei avuto il coraggio di dirle quello che mi era successo.
Ho comprato il regalo e sono fuggita via, senza nemmeno aspettare il pullman. Sono tornata a piedi.
Per un lungo tratto ho corso, poi ho camminato a passo veloce e quando ho recuperato il fiato ho ripreso a correre. Non vedevo l’ora di arrivare a casa e non nascondo che da quando è successa quella cosa ho paura di uscire, soprattutto da quando, parlando con delle amiche a scuola, ho scoperto che anche per strada ad altre ragazze è successa una cosa simile. Ai miei genitori non l’ho detto e neanche al mio fidanzato. Mi vergogno, anche se lo so che non è colpa mia. Temo che qualcuno possa dirmi: ma come? sei più grande di loro e non hai saputo difenderti da un gruppo di ragazzini?”