Con il capo chino verso il volante, i fari della Mercedes ancora accesi: così lo hanno ritrovato gli inquirenti, giunti sul luogo dell’agguato costato la vita a
Davide Montefusco, 34enne di Casalnuovo di Napoli, giustiziato il 25 gennaio 2016, intorno alle 18, raggiunto da una pioggia di proiettili, mentre era fermo al semaforo di viale Margherita.
A Ponticelli ci era andato per incontrare una persona che potrebbe aver fatto da esca, attirando nel quartiere il bersaglio finito nel mirino dei killer che, di fatto, molto probabilmente lo hanno seguito, in attesa del momento giusto per entrare in azione. Quel semaforo che arresta la marcia di Montefusco è “il segnale fortunato” che accelera i tempi e consegna ai killer l’occasione propizia: in sella ad uno scooter, affiancano la sua auto, aprono il fuoco, sprezzanti delle tante persone presenti in strada ed uccidono Montefusco.
Gli esplodono contro 12 proiettili che lo raggiungono alla testa e al torace: un numero di colpi e una modalità d’esecuzione che risuonano come una sentenza di morte inequivocabile.
Un passato da recluta del clan Sarno, archiviato con una breve parentesi da collaboratore di giustizia con dichiarazioni successivamente ritrattate, gli inquirenti tendono a ritenere l’assassinio di Davide Montefusco il primo di una serie di omicidi voluti per vendicarsi dei Sarno diventati collaboratori di giustizia. Punito per quella parentesi trascorsa “dalla parte dello Stato”, una macchia che resta e che nemmeno la ritrattazione può lasciar sbiadire.
Nel 2009, dopo aver testimoniato contro gli appartenenti al clan Sarno, salvo poi ritrattare dopo un’aggressione al cognato, Montefusco si trasferì a Prato, dove poi ha aperto tre negozi della catena “99 cent”. Ma il 13 agosto 2014, indagando su una maxi-truffa, la polizia stradale, imbeccata dai colleghi di Napoli, scoprì un paio di capannoni, a Prato e Vaiano, dove era stata nascosta una enorme quantità di merce, in gran parte articoli casalinghi, che risultava non essere stata pagata ai fornitori dei negozi “99 cent”. Secondo gli investigatori il valore della merce era superiore ai 2 milioni di euro.
Dieci giorni dopo, il deposito di Vaiano fu completamente distrutto da un incendio di cui non si è mai accertata la causa, anche se si sospetta sia stato doloso. A questo punto Davide Montefusco, che peraltro non era stato arrestato, è tornato in Campania, dove probabilmente si sentiva al sicuro.
I collaboratori di giustizia, lontani da Napoli, ma con un orecchio e il cuore puntualmente sintonizzati sulle dinamiche interne del quartiere, raccontano un’altra verità.
Montefusco avrebbe “pestato i piedi” ai De Micco, l’organizzazione che in quel momento storico teneva sotto scacco l’intero quartiere, non perchè si stesse avvicinando a qualche clan rivale né tantomeno perchè stava cercando di mettere in piedi un proprio clan. Il 34enne di Casalnuovo, secondo quanto riferito da diversi collaboratori di giustizia, stava mettendo in piedi un attività analoga a quella che gestiva a Prato, tant’è vero che gestiva una merceria low cost proprio a Ponticelli e si sarebbe più volte rifiutato di pagare il pizzo al clan De Micco.
Secondo altri collaboratori di giustizia, invece, Montefusco sarebbe stato ucciso perchè avrebbe tentato di imporre ai commercianti del quartiere di acquistare da lui i detersivi da rivendere presso le loro attività, senza tener conto che si trattasse dell’area di competenza del clan dei tatuati, a quanto pare, coinvolti anche nel business dei detersivi contraffatti.
A fornire informazioni ben più dettagliate ed attendibili sull’omicidio di Montefusco è Vincenzo P., presente al momento dell’omicidio e che aiuta gli inquirenti a ricostruire anche le fasi che lo hanno preceduto, riferendo in maniera circostanziata i suoi rapporti con i De Micco e quanto appreso dallo stesso Davide Montefusco, ex collaboratore di giustizia, prima che questi venisse ammazzato. Vincenzo P. conferma che Montefusco sarebbe stato ucciso perché si era rifiutato di pagare il pizzo al clan De Micco per l’attività che aveva intrapreso a Ponticelli.
Il testimone però si rifiuta di sottoscrivere il verbale in cui sono riportate le sue dichiarazioni. Motiva così la sua decisione: “Non voglio morire, se dico la verità mi ammazzano. Ho una famiglia. Scrivete quello che volete. Non si scherza con quelle persone, se potessi direi tutto. Se io parlo e vi dico quello che so uccidono me e mia figlia. Preferisco andare in galera, almeno posso continuare a vedere la mia famiglia. Confermo che avevo un debito con un ragazzo che ha messo in mezzo a queste persone. Ho saldato il debito facendomi prestare i soldi da mio zio. Vi avviso che io non firmo niente di quello che state scrivendo”.
Le sue dichiarazioni, tuttavia, sono presenti all’interno dell’ordinanza di custodia cautelare che lo scorso 28 novembre ha fatto scattare le manette per 23 persone ritenute contigue alla cosca dei De Micco.
Quel che si sa per certo, come viene riportato nell’ordinanza di custodia cautelare, è che poco prima dell’omicidio Davide Montefusco a bordo della sua avuto si era recato in via Crisconio perché dovevano discutere con Flavio Salzano, ucciso a sua volta ad agosto dello stesso anno, uno dei reggenti dei De Micco. Oggetto della discussione una somma di 19mila euro che Vincenzo P. doveva rendere al suo omonimo Giampiero P., per una fornitura di merce. A garanzia Vincenzo P. aveva consegnato degli assegni post-datati da incassare man mano che la merce veniva venduta.
Gran parte di questa merce era stata ceduta da Vincenzo P. a tale Emanuele, del quale non conosce il cognome e che è agli arresti domiciliari, il quale al termine della vendita avrebbe dovuto consegnargli 27mila euro. Ma la merce non viene venduta e per questo dopo alcuni solleciti Vincenzo P. viene convocato da Flavio Salzano, invece ad attenderlo trova Antonio De Martino che gli intima di pagare.
Vincenzo P. racconta al suo amico Davide Montefusco quello che era successo e lo stesso aveva detto di aver scacciato via dal suo negozio gli estorsori dei De Micco. Così decisero di recarsi insieme a casa di Flavio. All’altezza della casa di De Martino un uomo porta Vincenzo P. al cospetto del boss e si accordano per il pagamento del debito. Durante l’incontro in ben due occasioni alcuni esponenti della cosca gli chiesero se la persona che lo accompagnava fosse proprio Davide Montefusco. Avendo avuto la conferma della presenza di quest’ultimo sul posto, Antonio De Martino con una scusa intratteneva più del dovuto inviando nel frattempo alcuni sms con il suo telefono cellulare.
Dopo circa 10 minuti veniva riaccompagnato dal giovane all’esterno del caseggiato dove era rimasto in attesa di Davide Montefusco. Subito dopo i due si allontanavano da via Crisconio dirigendosi verso il viale Margherita e in questa circostanza notava lungo la strada uno scooter di colore scuro fermo con due giovani in sella e che a suo dire erano gli stessi che avevano affiancato l’auto in viale Margherita esplodendo i colpi di arma da fuoco contro Montefusco.