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Insegnante siciliano picchiato dai genitori di un alunno, la denuncia di una prof.di Ponticelli: “Abbiamo paura di lavorare”

Luciana Esposito di Luciana Esposito
13 Gennaio, 2018
in News
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Insegnante siciliano picchiato dai genitori di un alunno, la denuncia di una prof.di Ponticelli: “Abbiamo paura di lavorare”
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scuola-ultimatvUn professore ha rimproverato un alunno e di tutta risposta è stato malmenato dai suoi genitori. E’ accaduto lo scorso mercoledì mattina nella seconda media del Vittorini di Avola, in provincia di Siracusa.

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L’insegnante di educazione fisica, Salvo Busà, 60 anni, padre di una figlia di 35 anni, è scioccato, amareggiato ed incredulo per quanto gli è accaduto: aveva chiesto a un suo alunno di chiudere una finestra prima di andare in palestra per gli esercizi. E lui lo ha mandato a quel paese, senza chiuderla. Il docente ha alzato la voce e ha ripetuto la richiesta. L’alunno gli ha lanciato un libro. Il professore rimprovera ancora l’alunno insolente che ha poi afferrato il telefonino per chiamare i suoi genitori. Mezz’ora dopo il padre e la madre sono arrivati a scuola.

Lei, 33 anni, arriva in pigiama, sopra indossa un impermeabile. Lui, 47 anni, pronto a far valere le ragioni del figlio e “punire” l’affronto, senza nemmeno chiedere spiegazioni su quanto accaduto. Il resto lo hanno raccontato tutti i media nazionali: al prof, quei genitori, hanno rotto una costola e hanno tumefatto il volto. Gli hanno dato “una bella lezione”.

Ragion per cui sono stati denunciati per lesioni personali e interruzione di pubblico servizio.

La madre del ragazzo agli inquirenti ha fornito una ricostruzione diversa: la donna sostiene che sarebbe stato il docente a lanciare il libro contro il figlio che, proprio perchè colpito dall’oggetto, avrebbe allertato i genitori. Una versione poco credibile per molti colleghi di Busà, adesso in convalescenza per dieci giorni a casa. Il prof. ha ricevuto anche la telefonata dì solidarietà della ministra Fedeli.

Una vicenda che riaccende i riflettori sul tema dell’istruzione e getta nello sconforto e nell’indignazione soprattutto i colleghi del docente siciliano che si misurano quotidianamente con i cosiddetti “ragazzi difficili”.

Un’insegnante di Ponticelli si fa avanti per dire la sua e traccia un quadro piuttosto inquietante della realtà nella quale svolge quella che definisce “la sua missione”: “lavoro da 14 anni in una scuola che mi porta a stare a stretto contatto con i figli di tanti malavitosi. I bambini raccontano tutto: dove vengono nascoste le armi e come si “lavora la droga”, giusto per citare alcune delle nozioni che ho appreso io da loro, nel corso di questi anni. I genitori, forse informati dagli stessi figli o forse intimoriti dalla consapevolezza di “essere nel torto”, tante volte hanno “fatto pressioni” non solo a me, ma anche ai miei colleghi, affinchè ci limitassimo a “fare le maestre” senza ficcare il naso nelle cose che accadono in casa loro.

Un atteggiamento che spesso si ripete davanti a qualche brutto voto, ovviamente meritato, o a qualche richiamo. E’ innegabile che conviviamo con la paura di quello che ci può succedere se un alunno consegna a “quei genitori” una comunicazione simile a quella che ha portato alla gravissima aggressione ai danni del collega di Siracusa, al quale va la solidarietà di tutti noi, colleghi e non.

Un tempo la figura dell’insegnante era rispettata e anche ammirate, se vogliamo, perchè ricopriva un ruolo al quale si attribuiva un valore importantissimo. Per certi versi, era perfino una preziosa alleata con la quale confrontarsi per risolvere problemi o comprendere disagi e criticità dei propri figli. Lo scenario in questi anni sta peggiorando di giorno in giorno. Stiamo assistendo ad una vera e propria morte dei valori che porta gli alunni a schernirci e a perdere il senso del rispetto verso tutti, verso la nostra figura professionale e verso il nostro ruolo di educatori, in primis.

Se sono i genitori a dare questo genere di esempio, rendendosi autori di simili gesti, non è difficile capire come e perchè accade. Il rispetto, l’onore e la capacità di imporsi a tutti i costi viene imposta ed inculcata fin da subito ai bambini che crescono in quei contesti, proprio per addestrarli alle regole di quella vita. Quindi, rispondere male agli insegnanti e non farsi mettere i piedi in testa da nessuno, rappresenta il primo e doveroso passo da compiere per rinnegare il nostro modello educativo.

Gli episodi di bullismo che stanno aumentando in maniera esponenziale, dentro e fuori le aule scolastiche, confermano il dilagare di un modello educativo violento che molto spesso i giovani applicano senza neanche esserne pienamente consapevoli, proprio perchè “allevati” per agire in quel modo.

Quando ti trovi davanti a dei genitori che “rinnegano” il modello educativo e culturale al quale noi membri della società civile ci ispiriamo, purtroppo sai che non puoi fare nulla per contrastare il fenomeno o per creare un “punto di contatto”, perchè quei genitori non possono tornare a scuola e non possono essere rieducati e per quanto tu possa sforzarti di imprimere nei loro figli un seme diverso, il tempo che trascorrono tra le mura domestiche è di gran lunga superiore rispetto a quello trascorso tra i banchi, complice anche un’elevata incidenza del fenomeno dell’assenteismo e della dispersione scolastica che tutt’oggi non vengono contrastati in maniera efficace ed adeguata.

Il carcere, allo stesso modo, dimostra di non possedere un forte potere educativo e riabilitativo dal punto di vista culturale e sociale: molti miei alunni, infatti, sono figli di detenuti o di ex detenuti e questo li autorizza a spadroneggiare sui loro compagni di classe e di scuola e anche su noi insegnanti. A quei bambini, molte volte, nel contesto familiare, la detenzione viene inculcata come un valore, una sorta di “medaglia” di cui andare fieri, perchè esige rispetto e conferisce autorità.

Un tempo, un genitore detenuto in carcere, era qualcosa di cui i bambini si vergognavano e che tendevano a nascondere. Oggigiorno, le madri in primis, rivendicano “il diritto di precedenza” sulle altre madri, quando devono andare in carcere per sostenere il colloquio con il coniuge, se in quello stesso giorno ci sono impegni scolastici ai quali i genitori sono chiamati ad adempiere.

Il quadro che emerge è tragico e non perchè sto calcando la mano: ancor più nei luoghi in balia della camorra, come Ponticelli, la riqualificazione sociale può avvenire solo se alla scuola viene conferito un ruolo centrale e dominante. Noi docenti non disponiamo dei mezzi e delle forze necessarie per combattere questa guerra e non possiamo fare altro che il governo se ne renda conto per intervenire in maniera ben più efficace e risolutiva.”

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