Dallo scorso 28 novembre, ovvero, da quando un blitz ha tradotto in carcere 23 persone ritenute contigue al clan De Micco, l’unico obiettivo dell’organizzazione criminale che da diversi anni detiene il controllo del quartiere Ponticelli è non perdere l’egemonia sul territorio.
Un potere conquistato rapidamente, complice una cospicua disponibilità economica, spiegano alcuni collaboratori di giustizia che temono i De Micco a tal punto da chiedere l’anonimato.
Un modello criminale che fonde astuzia e violenza alla capacità di “investire in attività” che incrementano notevolmente gli introiti del clan. I De Micco erano già una famiglia benestante e la disponibilità economica della quale potevano beneficiare è stato uno degli elementi che ne ha facilitato e favorito l’ascesa. I soldi incrementano il numero degli affiliati e consentono di comprare tante armi: questi i primi due elementi necessari per combattere una guerra di camorra.
Una guerra che i De Micco hanno avviato, quando Marco De Micco, il fondatore del “clan dei tatuati”, dopo una breve gavetta alle dipendenze dei clan di Barra, decise di “affondare le grinfie” su Ponticelli, fino ad impadronirsi del quartiere. Un desiderio che non nasce dunque da una necessità di carattere economico e che non appartiene al Dna della famiglia De Micco, estranea, fino a quel momento, alle dinamiche camorristiche del quartiere.
Marco è un giovane, ambizioso e di poche parole, che già quando gestiva una piazza di droga per contro della camorra barrese, dimostrò grosse doti “imprenditoriali”. Ci sapeva fare, Marco, con i soldi e con le dinamiche della malavita. Questo, forse, ha concorso a galvanizzare “i sogni di gloria” del giovane che ben presto è diventato una vera e propria icona, da ammirare ed osannare, per i suoi coetanei, pronti a tutto pur di dimostrargli rispetto, stima, fedeltà e ammirazione: perfino a tatuarsi il suo soprannome “Bodo”.
Una faida, quella che ha portato all’ascesa dei De Micco a Ponticelli, che ha prodotto innumerevoli morti, soprattutto giovanissimi, e da loro vinta senza troppe difficoltà, forti dell’ingente quantitativo di armi ed affiliati sui quali potevano contare, hanno centrato l’obiettivo, primeggiando sugli altri clan, già affermati o che stavano cercando di rifondarsi o di formarsi, dopo il declino dei Sarno.
Per diversi anni hanno tenuto sotto scacco il quartiere, incrementando il patrimonio dell’organizzazione, attraverso il controllo di diversi traffici e business illeciti: racket ed estorsioni, spaccio di stupefacenti, contrabbando di sigarette, ma anche il business delle case popolari e delle imprese di pulizie che operano nei rioni popolari. Sono solo alcune delle attività che, nel corso di questi anni, hanno concorso ad arricchire i De Micco che hanno sempre ostentato con esuberanza sfarzo, lusso e bella vita, quella che piace a tutti e che deve far gola a tutti, perchè anche grazie a questi escamotage sono riusciti ad avvicinare tanti giovani alla malavita o a convincerli a “passare dalla loro parte”.
Pochi giorni prima dell’arresto, tutte le figure di spicco del clan dei tatuati si erano concessi una lussuriosa vacanza al mare, ampiamente documentata attraverso video e foto pubblicate sui social.
Un rocambolesco rovesciamento del fronte, come puntualmente accade nelle “storie di camorra”, nel giro di meno di un mese, ridisegna tutt’altra sorte nelle vite degli affiliati al clan De Micco: 23 finiscono in manette, tra i quali figurano “i pezzi da 90”, “i reduci”, invece, si vedono braccati nella morsa della “camorra emergente” che forte dell’assist involontario fornito dalle forze dell’ordine, fin da subito ha cercato di approfittare del momento di difficoltà della cosca dei tatuati, per eliminarli definitivamente dalla scena camorristica ponticellese.
“Due conti, quando sei a capo di un clan come quello che sono riusciti a mettere in piedi i De Micco in questi anni, te li fai. E Luigi De Micco – ritenuto il reggente del clan dopo l’arresto dei fratelli Marco e Salvatore – aveva messo in conto che gli poteva succedere qualcosa, a maggior ragione dopo l’agguato avvenuto nel novembre 2016, dove scampò miracolosamente la morte. Aveva deciso che l’unico che poteva prendere il suo posto era Antonio De Martino, era a lui che aveva dato tutte le indicazioni e aveva fornito tutti gli elementi necessari per subentrare al suo posto se l’avessero ucciso o arrestato. Non poteva immaginare che si portavano pure a lui”.
Anche Antonio De Martino, infatti, viene arrestato il 28 novembre.
Lo stato di difficoltà in cui si ritrova il clan, dunque, è tanto palese quanto oggettivo: inizia l’era delle “stese” che tutt’oggi si alternano su entrambi i fronti, con i De Micco disposti a tutto pur di non perdere il dominio di Ponticelli. Sull’altro fronte c’è “la camorra emergente”, un’organizzazione criminale frutto di innumerevoli alleanze, tra le quali primeggia la presenza dei Rinaldi di San Giovanni a Teduccio accanto ai De Luca Bossa, Schisa, Minichini, Baldassarre, il cui tratto distintivo è il forte rancore verso i De Micco, frutto di omicidi eclatanti a loro imputabili o delle angherie che erano costretti a subire quando era il clan dei tatuati a dominare la scena camorristica a Ponticelli.
L’orgoglio e l’onore hanno un ruolo dominante nella faida in corso a Ponticelli, oltre alla forte volontà di non perdere il dominio del territorio e con lui ingenti quantitativi di denaro: “le stese” lungo le strade in cui abitano le figure di spicco del clan De Micco e l’ordigno esploso nei pressi del circolo ricreativo di proprietà proprio di De Martino, rappresentano quel genere di affronti che un clan che deve dimostrare di poter essere ancora in grado di “far tremare” Ponticelli, deve punire.
La replica dei De Micco doveva arrivare e doveva trattarsi di un’azione eclatante: questo il timore principale di chi vive nel Lotto O, il bunker dei De Luca Bossa, terrorizzati dall’idea che nel mezzo di questa faida – come non di rado è accaduto – possano finirci delle vite innocenti.
Lo scenario delineato dal sequestro di vari depositi di armi del clan De Micco, poche ore prima della mezzanotte più attesa dell’anno, conferma, in effetti, che questi timori sono fondati, perchè “i Bodo” hanno ancora molti assi nella manica.
6 fucili, di cui un kalashnikov, tre a canne mozze, oltre ad uno di marca Benelli ed uno di marca Beretta, erano nascosti nel vano dei contatori di uno stabile in Via E. Montale.
Invece, all’interno dell’abitazione della madre di De Martino, la 48enne Carmela Ricci, è stata scoperta una stanza nascosta, dietro l’anta di un armadio, all’interno della quale vi era una pistola Tanfoglio con matricola abrasa, completa di 22 cartucce calibro 380, nonché due caricatori ed un lampeggiante, del tipo in dotazione alle forze dell’ordine. La donna è stata arrestata, perché responsabile del reato di detenzione e porto abusivo di arma e munizionamento e condotta alla casa circondariale di Pozzuoli.
Nel prosieguo delle indagini gli agenti del commissariato Ponticelli, coadiuvati da personale della Squadra Mobile, riuscivano ad individuare e sequestrare un vero e proprio arsenale: un fucile mitragliatore del tipo kalashnikov completo di 15 cartucce calibro 7,62, una pistola beretta calibro 380 completa di caricatore contenente 6 cartucce, un fucile Benelli calibro 12, risultato rubato, un fucile marca beretta calibro 12 con matricola punzonata, due fucili a canne sovrapposte, con canne e calcio mozzate, calibro 12 e calibro 20 ed un fucile di marca Beretta calibro 12, fucile doppietta con cane esterno e canne mozzate.
In Via Christian Andersen, scoperto un vero e proprio bunker, all’interno del quale sono state rinvenute e sequestrate due pistole, di cui un Revolver calibro 38 ed una pistola semiautomatica cal.7,65 con annesso un silenziatore, entrambe con matricola abrasa, oltre a due caricatori, 12 cartucce di vario calibro e due telefoni cellulari.
In Via Montale, all’interno di un capannone abbandonato, rinvenuti e sequestrati due giubbotti antiproiettili, nascosti in una sacca di stoffa e due mazze di legno, sicuramente utilizzate nel corso di un pestaggio, in considerazione delle tracce ematiche presenti. Rinvenuta anche una bomba a mano di fabbricazione jugoslava, nonché 43 cartucce calibro 40.
Paradossale la scelta di puntare su nascondigli sì vicini al Lotto 10, il quartier generale dei Bodo, ma anche al locale commissariato.
Intorno alle mazze di legno sporche di sangue e alla bomba rinvenute nell’ambito della massiccia operazione, si delineano le due ipotesi investigative più inquietanti.
Le mazze, secondo quanto riferito dai collaboratori di giustizia, venivano usate dai “picchiatori del clan” – in primis dal giovane Antonio Autore – per torturare “le vittime”: ovvero, persone che dovevano essere costretta a “parlare” per fornire informazioni preziose al clan o per “punire” qualche “infame”, autore di uno sgarro o di una scortesia o di qualsiasi genere di azione che potesse risultare poco gradita ai De Micco. La strategia del terrore e l’applicazione sistematica di punizioni violente ed esemplari, sarebbe una delle caratteristiche che ha concorso, nel corso di questi anni, ad incrementare rispetto, autorità e timore intorno alla cosca dei tatuati.
I Bodo, secondo gli inquirenti, stavano pianificando un agguato contro “la camorra emergente”.
A questo utilizzo era destinata la bomba a mano prodotta nella ex Jugoslavia. L’ordigno, funzionante e pronto alla deflagrazione, era l’arma di cui intendevano servirsi i De Micco per mettere a segno “l’azione eclatante” necessaria per “mettere le cose in chiaro”, dimostrando autorità ed egemonia, non solo agli occhi delle cosche rivali, ma dell’intero quartiere.
Questo è quanto emerso da alcune intercettazioni che hanno permesso alla Polizia di smascherare il pericoloso piano architettato dai Bodo.
Secondo i collaboratori di giustizia “i De Micco sono tra i pochi clan di Napoli a disporre della forza economica necessaria per pagare gli stipendi ai carcerati”: sarebbe proprio questo uno dei motivi più solidi che assicura ai “Bodo” la fedeltà delle reclute rimaste al loro servizio e che gli conferisce la certezza che non cederanno alle “avances” delle cosche rivali. Seppure più fonti narrano di violente incursioni e pestaggi voluti dalla “camorra emergente” per obbligare le reclute del clan rivale a passare dalla loro parte.
La “sicurezza economica” garantita dai “Bodo”, unitamente alla certezza che tradire questi ultimi vorrebbe dire firmare una condanna a morte, sono i due aspetti sui quali gli ex interpreti della malavita passati dalla parte dello Stato accendono i riflettori, spiegando che proprio grazie a queste due potenti armi, i De Micco riusciranno ad avere la meglio sui clan emergenti. Salvo clamorosi “intoppi”.
Spietati contro tutti, soprattutto contro “i pentiti”: “i De Micco sono gli unici che riescono ad intercettare i collaboratori di giustizia e i loro parenti, ovunque si trovano e questo è solo uno dei tanti aspetti che ne evidenzia la potenza. Non è eccessivo ipotizzare che sia l’unico clan di Ponticelli capace di ingraziarsi anche “i colletti bianchi”. I De Micco hanno un “potere nascosto” che va ben oltre quello che si vede “per strada”. Non è un clan fatto solo di violenza e droga, ma anche dalla forte ambizione di fare soldi ed arrivare lontano. Inoltre, disporre di soldi in carcere e sapere che fuori c’è comunque qualcuno che non fa mancare niente alla tua famiglia, fa la differenza, fino al punto di farti uccidere pur di non tradire. “I Bodo” non si faranno scrupoli: fino a quando anche solo un De Micco sarà ancora in vita e nelle loro armi ci sarà anche solo un proiettile, a Ponticelli si continuerà a sparare. Preferiranno morire tutti, piuttosto che arrendersi o vedere il “loro quartiere” dominato da altri clan.“