Domenica 6 dicembre 1959: Campionato di calcio 1959/60, Napoli-Juventus, quella che, da sempre, non è una partita, ma LA partita, quella domenica entra nella storia, perché inaugura lo Stadio San Paolo – inizialmente denominato Stadio del Sole – quale impianto sportivo ufficialmente destinato ad accogliere le partite casalinghe del Napoli.
Gli azzurri, quella domenica, inaugurarono quello che è stato repentinamente battezzato “il Tempio di Fuorigrotta” conquistando una vittoria, imponendosi per 2 a 1 davanti a un pubblico che gremiva in ogni ordine di posto gli spalti del nuovo campo di gioco.
La prima vittoria di una lunga serie, 55 anni di emozioni, gioie, dolori, acredini, battaglie, cori, striscioni, lacrime, conquiste, retrocessioni, riscatto sociale, sussulti, fervore, passione, amore. Sconfinato, irrazionale, indicibile, perpetuo, immenso amore.
Le mura del San Paolo, in ogni singola crepa ed intelaiatura, raccontano, custodiscono e bisbigliano frammenti di gloriosa o tormentata storia.
L’anima che pulsa in ogni stadio possiede caratteristiche ben definite: il Napoli per i suoi tifosi è una religione, Maradona è “il Dio”, il San Paolo “il Tempio” e la partita è “il momento della solenne celebrazione liturgica”.
“Il San Paolo è “il Vesuvio di Fuorigrotta” caratterizzato da un’attività assai diversa, più prolifera e costante rispetto a quella del “Gigante buono”. Boati, sobbalzi, fremiti, esplosioni di gioia, tripudi di emozioni, condite da brividi e batticuore, viscerale ed incondizionato attaccamento alla maglia che si tramuta in incessanti cori di incitamento, capaci di protrarsi per tutti i 90′ ed anche oltre. Questi sono i lapilli che, ogni volta che il Napoli scende in campo tra le mura amiche, il “Vulcano San Paolo” è perennemente pronto a vomitare.
Quando varchi per la prima volta le gradinate che spalancano le porte su quell’infinita distesa di emozioni verdi e sconfinate, il brivido che scivola lungo la schiena, consegna la consapevolezza che in quel momento stai imparando a capire cos’è l’amore.
Il San Paolo è magia, sentimento, passione, folklore: è una delle espressioni più colorate, intense e sincere della napoletanità.
Yaya Tourè ha descritto con delle memorabili parole le emozioni che consegna “il Tempio di Fuorigrotta”: “La mattina andammo a fare riscaldamento al San Paolo, Carlos (Tevez) mi parlava di questo stadio, ma io che ho giocato nel Barça mi dicevo, che sarà mai! Eppure quando misi piede su quel campo sentii un qualcosa di magico, di diverso. La sera quando ci fu l’inno della Champions, vedendo 80.000 persone fischiarci mi resi conto in che guaio ci eravamo messi! Qualche partita importante nella mia carriera l’ho giocata, ma quando sentii quell’urlo fu la prima volta che mi tremarono le gambe! Bene, fu lì che mi resi conto che questa non è una solo squadra per loro, questo è un amore viscerale, come quello che c’è tra una madre ed un figlio! Fu l’unica volta che dopo aver perso rimasi in campo per godermi lo spettacolo!”