L’onore e la fedeltà: i due principi fondamentali sui quali si basa la malavita e che un mafioso degno di definirsi tale deve rispettare sempre, nel bene e soprattutto nel male. “I pentiti”, ovvero, i collaboratori di giustizia, sono degli infami, delle persone indegne di continuare a vivere, perché ripudiano la fedeltà e l’onore, le regole d’oro della mafia.
Salvatore Riina è stato fino alla fine un uomo d’onore, perché non si è mai pentito e non ha mai rinnegato la mafia e per questo è visto come un eroe dai “fan della mafia”.
In Sicilia, a New York, a Ponticelli. Non è una questione geografica, ma ideologica. Ovunque attecchisca il seme della malavita, “un capo”, seppur cinico ed efferato, incapace di impietosirsi perfino davanti all’innocenza di un bambino per servire la mafia, viene acclamato come un divo ed apostrofato come “l’esempio da seguire”, in quanto portatore (in)sano degli ideali osannati, rispettati e spalleggiati dagli interpreti di quello stesso “sistema”.
Anche a Ponticelli, la morte di un “pezzo da 90” della mafia siciliana non è passata inosservata e soprattutto i giovani hanno sentito il bisogno di rivolgergli un ultimo pensiero servendosi dei social, ancora una volta utilizzati dalla malavita per veicolare messaggi tanto pericolosi quanto lesivi dell’integrità morale della società civile.
Il post pubblicato dalla figlia poco più che diciottenne di uno dei ras della droga del Rione De Gasperi di Ponticelli, arrestato due mesi fa e attualmente detenuto in carcere, sintetizza appieno la cultura mafiosa nel segno e nel rispetto della quale “i figli della camorra” vengono educati.
Quella ragazza che ha salutato Riina rivolgendogli una standing ovation virtuale, probabilmente, non conosce la storia e non ha mai sentito parlare di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino oppure, sa chi sono, ma ritiene che la loro morte sia stata “cosa buona e giusta”, perchè quella è la fine che meritano di fare quelli che non si fanno gli affari loro, quelli che non sanno essere omertosi e che provano a rompere le uova nel paniere agli “uomini d’onore” come Riina.
“Farei anche 3.000 anni di carcere non 30, ma non mi pentirò… non ho idea, davvero il capo dei capi…Buon viaggio zio Totò”: una frase dal contenuto inequivocabile, accompagnata da emoticon che rafforzano il concetto. E, infine, un improbabile hashtag dove il cognome di “Zio Totò” è scritto con una sola “i”. Un mix ambiguo tra realtà e finzione che sottolinea, ancora una volta, “la pericolosità” del messaggio comunicativo diramato attraverso le fiction in cui si ripercorrono le gesta criminali di boss che hanno segnato la storia del nostro Paese, perchè è così che i figli della malavita, incapaci di distinguere la realtà documentata da quella romanzata, conoscono quei personaggi e i crimini che hanno commesso. Il clamore mediatico riscosso dalle fiction come “il capo dei capi”, incentrata proprio sulla vita di Salvatore Riina, esalta le reclute della camorra, soprattutto le più giovani che vedono nella “conquista della ribalta mediatica” di quei boss, unitamente alla risonanza sortita dai crimini che hanno compiuto, un esempio al quale rifarsi ed ispirarsi. Il fatto che tutti “i capi” finiscano a trascorrere il resto dei loro giorni al 41 bis o tumulati in una cassa da morto, perchè barbaramente trucidati da figli della stessa “mamma-camorra”, non svilisce “la grandezza dell’impresa” di chi servendo “fedeltà e onore” è riuscito a conquistare un posto all’inferno.
Vale la pena di morire o di annullare la propria vita, come ha fatto Riina, morendo in una cella, pur di vivere una vita da mafioso?
A giudicare dal caloroso addio che questa giovane ponticellese ha dedicato a uno degli uomini più crudeli della storia dell’umanità, la risposta è si, per chi osanna la camorra come l’unica e sola religione da praticare sulla terra.
Lo chiama “zio”: quella ragazza che Salvatore Riina lo ha conosciuto attraverso le suggestioni inculcategli da mamma-camorra, prova affetto, ammirazione e rispetto per uno dei mafiosi più odiati da tutti gli italiani onesti che vivono nel rispetto della legalità.
Questo post, per ovvie ragioni, non è passato inosservato e tanti utenti di facebook, indignati e sconcertati, hanno segnalato quei contenuti. La risposta degli amministratori del social network più cliccato al mondo non si è fatta attendere: il post è stato cancellato, perchè considerato inappropriato. E’ accaduto quello che dovrebbe accadere tutte le volte che i mafiosi si servono dei social network per diramare messaggi che esaltano e “sponsorizzano” la malavita.