Svolta nelle indagini sull’omicidio di Paolo Colaiacolo, soprannominato “‘o Addurmuto”, ucciso a 24 anni, il 19 giugno del 1998, mentre si trovava in una sala giochi di Ponticelli e giocava ai video-poker. Un omicidio, uno dei tanti maturato nell’era in cui comandavano i Sarno, non solo tra le mura del quartiere della periferia orientale, ma nell’intero entroterra vesuviano, senza trascurare il centro di Napoli e la periferia orientale, quartieri e zone-simbolo della camorra conquistate attraverso alleanze strategiche dal clan che costruì nel Rione De Gasperi il suo fortino inviolabile. Cadaveri disciolti nell’acido, altri mai ritrovati, altri cementificati. Innumerevoli gli omicidi che portano la firma del clan Sarno, avvolti nel mistero da circa 20 anni, come quello del 24enne, voluto per punirne il tradimento.
Determinante per la ricostruzione del movente e l’identificazione di mandanti ed esecutori la testimonianza di diversi collaboratori di giustizia che da diversi anni sono passati dalla parte dello Stato e stanno rivelando intrecci e malefatte del clan più efferato della storia di Ponticelli.
Lo scorso 20 ottobre, la polizia ha così arrestato a Napoli i presunti componenti del commando che uccise Paolo Colaiacolo, esponente del clan Sarno che aveva deciso di appoggiare la scissione di Antonio De Luca Bossa.
Le quattro persone raggiunte dal recente provvedimento sono: Antonio Sarno, 39 anni, figlio di Ciro ‘o sindaco, storico boss di Ponticelli, Antonio Tubello, 50 anni, Nicola Martinez, 60 anni, e Vincenzo Cece, 47 anni, detto “o puorco”, cognato dei Sarno, ritenuti tutti appartenenti al sodalizio criminale operante a Ponticelli e che oggi, secondo gli inquirenti, risulta decapitato. I quattro dovranno rispondere di omicidio premeditato e detenzione illegale di arma da fuoco.
Le indagini, che si sono avvalse del contributo dichiarativo di numerosi collaboratori di giustizia, hanno consentito di ricostruire il contesto criminale in cui è maturato quel delitto, avvenuto quasi 20 anni fa. I killer – Cece, Tubello e Martinez – sono entrati in azione a bordo di un’auto per compiere il delitto commissionato da quelli che all’epoca erano i reggenti del clan Antonio Sarno e Ciro Esposito detto “o tropeano”.
L’omicidio del 24enne fu decretato per vendicare uno dei fatti di sangue più efferati della camorra vesuviana: l’autobomba esplosa a via Argine il 24 aprile 1998, in cui morì ” per errore” Luigi Amitrano, nipote del boss Vincenzo Sarno, quest’ultimo, invece, era il reale obiettivo dell’attentato. Un agguato che segnò la fine della pace tra i Sarno e i De Luca Bossa, clan del Lotto Zero, nato in seguito alla scissione voluta fortemente da Antonio De Luca Bossa, detto “Tonino ‘o sicco”, killer di fiducia di Ciro Sarno che poi decise di “mettersi in proprio” fondando un clan tutto suo.
Antonio De Luca Bossa, oggi ha 47 anni ed è in carcere da quasi 20 anni, per effetto della condanna definitiva all’ergastolo proprio per l’autobomba di via Argine. Colaiacolo, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, venne ucciso perchè, dopo la tragica morte di Amitrano, si schierò apertamente con il clan De Luca Bossa.
Martinez e Tubello sono stati catturati nel quartiere di Ponticelli mentre Antonio Sarno, è stato catturato a Prato, dove si era stabilito da qualche anno. Aveva deciso di cambiare aria e di iniziare una nuova vita, Antonio Sarno, dopo il declino del clan gestito dal padre e dagli zii. Non è bastato cambiare regione per sfuggire al regolamento dei conti con il passato e qualche giorno fa la giustizia gli ha presentato il conto. Antonio Sarno, come detto, è il figlio di Ciro ‘o sindaco, storico boss di Ponticelli, una delle figure di spicco del clan che ha decretato la fine del sodalizio criminale fondato dalla sua famiglia e del quale è stato uno dei protagonisti di maggiore rilievo, diventando un collaboratore di giustizia. Attualmente ha 39 anni, all’epoca dell’omicidio Colaiacolo aveva poco più di 20 anni, dunque.
L’operazione che ha fatto scattare le manette per 4 persone, eseguita dalla squadra mobile di Napoli, guidata dal primo dirigente Luigi Rinella, assume una certa importanza, in quanto rappresenta un positivo riscontro alla strategia della Direzione distrettuale antimafia tesa a non abbandonare le inchieste su fatti criminosi accaduti nel recente passato, consentendo alla polizia giudiziaria l’attività a riscontro di nuovi elementi investigativi, emersi anche in seguito alle dichiarazioni di collaboratori di giustizia, nonché attraverso la meticolosa analisi e la rielaborazione del patrimonio probatorio ed indiziario raccolto all’epoca dei fatti. Il passato che riaffiora, dunque, e che si rivela capace di mettere i camorristi davanti ai propri errori, nonostante il tempo trascorso avrebbe potuto indurli a credere di averla fatta franca.