Una notizia, pubblicata di recente dal Quotidiano nazionale, ha fatto molto discutere.
Simone Ugolini, un ragazzo di 24 anni di Riccione, nella notte tra sabato 21 e domenica 22 ottobre, mentre stava tornando a casa, ha perso il controllo del motorino. Mentre era sull’asfalto, agonizzante, Andrea Speziali, un 29enne che transitava lungo quella strada, nel vedere il corpo inerme del giovane ha fatto la scelta che non ti aspetti, di certo non la più scontata, ma quella che ci permette di comprendere come e quanto le “abitudini moderne” siano in grado di condizionare i comportamenti, sovvertendo le priorità e perfino quelle condotte che dovrebbero subentrare istintivamente davanti a situazioni d’emergenza come questa: invece di chiamare i soccorsi o provare in qualche modo a intervenire, il 29enne ha tirato fuori il telefono cellulare per e aprire una diretta su Facebook, improvvisandosi macabro cronista. Il 29enne ha ripreso quel corpo che giaceva sull’asfalto, ha raccontato del sangue e di altri dettagli raccapriccianti, ha chiesto agli altri – quelli che assistevano inorriditi all’improbabile diretta su Facebook- di chiamare i soccorsi. “Chi mi segue chiami aiuto!” e “C’è sangue, speriamo si salvi”: queste le “frasi ad effetto” pronunciate dall’improvvisato reporter che ha scelto di filmare una morte in diretta, per arricchire di enfasi quei macabri momenti.
Sperava, probabilmente, che tanto bastasse per fargli ottenere un po’ di fama e di visibilità, quella che si conquista facilmente oggigiorno, a patto che si piazzino sui social le foto e i video giusti.
Eppure, il popolo del web ha avuto una reazione opposta e contraria a quella auspicata dal 29enne: molti lo hanno criticato per un comportamento che sembra molto più orientato a conquistare l’ammirazione e l’attenzione del pubblico che ad essere d’aiuto. Impietosi e severi, la maggior parte dei commenti apparsi in coda a quella surreale diretta. Gli hanno dato dello sciacallo, lo hanno insultato, criticato e disprezzato, mentre lui, imperterrito, continuava a raccontare in diretta quanto stava avvenendo.
All’indomani dell’accaduto, il 29enne ha dichiarato agli organi di stampa che lo hanno contattato: «Ero sotto choc, volevo fare qualcosa per lui, e visto che mi avevano detto che avevano già chiamato i soccorsi, ho pensato di filmarlo: ma non ho chiesto aiuto, ho solo testimoniato quello che era successo, me lo sono trovato davanti e non mi sono reso conto di quello che facevo. Ora sono bombardato di insulti, c’è una cattiveria tremenda, mi sono anche arrivate minacce di morte. Dicono anche che sto cercando pubblicità, ma non è certo questa la pubblicità che cerco. Sono stato scout, bagnino, non sono certo una persona cattiva. A casa mia sono tutti senza parole».
Speziali, realizzando quella diretta facebook, ha compiuto diversi reati: dal procurato allarme, alla diffamazione degli operatori del soccorso, alla pubblicazione di spettacoli osceni e raccapriccianti (articolo 528 del codice penale), alla violazione della privacy dei parenti del defunto. Già, perchè mentre lui filmava in diretta gli ultimi sospiri di quel ragazzo, i suoi genitori, ignari di tutto, erano finalmente in vacanza dopo un’estate passata a lavorare. E hanno rischiato di apprendere nel peggiore dei modi quanto fosse accaduto.
Una vicenda che ha indignato l’opinione pubblica e che ha fatto molto discutere. Una notizia che ha fatto riaffiorare, nella mente di chi ha vissuto momenti analoghi, ricordi indelebili, di grande sofferenza culminati in un graditissimo lieto fine.
Giovanni aveva 21 anni all’epoca dei fatti, oggi ne ha 37, ma ricorda come se fosse ieri quello che successe in via delle Repubbliche Marinare, una delle strade più trafficate del quartiere Barra, ormai più di 15 anni fa.
“Percorrevo quella strada da fresco patentato – racconta Giovanni, oggi padre di due figli e operaio di professione – erano passate poche ore da quando avevo superato l’esame di scuola guida e decisi di uscire a fare un giro con l’auto di mio padre. Era estate e faceva un gran caldo. Parcheggiai l’auto nei pressi dell’ufficio postale e mentre tiravo fuori dal cruscotto delle bollette da pagare, non ho potuto fare a meno di notare la strana postura che aveva l’uomo seduto nell’auto parcheggiata davanti alla mia. C’era un traffico bestiale e anche un gran via vai di persone che passeggiavano a piedi, eppure nessuno si era accorto che in quell’auto c’era un uomo colto da un malore che aveva perso i sensi.
Istintivamente iniziai a urlare: “Aiuto, aiuto! c’è un signore che sta morendo!” Purtroppo all’epoca non avevo il cellulare, ma per fortuna, il finestrino della sua auto era aperto a metà e questo permise alle persone che accorsero di aprire la portiera. Tra loro c’era un oculista che rassicurò tutti sul fatto che l’uomo fosse ancora vivo, così decisero di estrarlo dall’auto per trasportarlo in ospedale.
Rimasi molto scosso da quell’accaduto, ma decisi di seguirli per sincerarmi delle condizioni di quell’uomo. Sembra strano, ma, in quel momento per me non c’era niente che contasse di più della vita di uno sconosciuto. Non chiedetemi perchè. Quando arrivammo in ospedale, ebbi modo di conoscere la figlia di quell’uomo che mi spiegò che pochi mesi prima era rimasto vedovo.
Era stato colto da un infarto mentre, come me, stava scendendo dall’auto per andare a pagare la bolletta della luce. La figlia mi ringraziò, piangendo, perchè i medici le spiegarono che senza il mio intervento tempestivo, suo padre sarebbe morto sicuramente. Immagino che quell’ipotesi, a pochi mesi di distanza dalla perdita della madre, doveva essere inaccettabile.
Tutti i giorni sono andato a far visita a quell’uomo in ospedale e siamo diventati amici. La prima volta che mi ha visto era intubato e non riusciva a parlare, la figlia mi indicò come per dirgli: “E’ lui che ti ha salvato la vita” e lui alzò le dita della mano, mi salutò come se mi conoscesse da sempre.
Quattro anni fa quell’uomo è morto e in questi anni non abbiamo mai smesso di tenerci in contatto. Quando potevo, andavo a fargli visita, l’ho invitato al mio matrimonio e anche a cena a casa mia diverse volte, ha visto nascere solo la mia prima figlia, lo consideravo una persona di famiglia, come un nonno, e lui mi trattava allo stesso modo.
Non abbiamo mai parlato di quel giorno, ma ci siamo sempre comportati come se ci conoscessimo da sempre, raccontandoci la vita, i problemi, le preoccupazioni.”
Cosa hai provato quando è morto?
“Non dimenticherò mai quando Gabriella, sua figlia, mi ha telefonato e piangendo mi ha detto: “Stavolta nessuno è riuscito a salvarlo, il suo cuore ha smesso di battere”. Era un uomo d’altri tempi che mi ha insegnato tanto e tanto aveva ancora da darmi, forse è per questo che ho sentito un grande senso di vuoto in quel momento. Grazie a lui ho capito che ero un bravo ragazzo e da quel giorno ho sempre cercato di rigare dritto, anche per non deludere le aspettative di quell’uomo, ferroviere in pensione, con un animo d’oro. E’ stata la prima azione “da uomo” di cui vado fiero, oltre che quello che ancora oggi ritengo il gesto più importante della mia vita.”
Come giudichi quanto accaduto di recente a Riccione?
“Gravissimo. Non ho parole. Non credo che sia una questione di generazioni o di epoche. Se avessi avuto il telefonino in tasca, quel giorno, lo avrei usato sicuramente per chiamare i soccorsi. Invece, quel ragazzo, credo che vivrà portandosi un peso eterno sulla coscienza: come sarebbe andata se avessi usato il cellulare per aiutare quel ragazzo? Non è un peso trascurabile nè una cosa che si supera dalla sera alla mattina. Quello che è accaduto a Riccione è orribile, ma deve servire a tutti noi, giovani e adulti, per riflettere su quello che sta accadendo, in una società sempre più manipolata dalla “smania dei social”.
Mi sento giovane abbastanza per parlare ai giovani e per dirgli che ricorderò per sempre il primo giro in auto che ho fatto da neopatentato, non per le emozioni che ho provato, ma per il fatto che ho salvato la vita a un uomo. Un’emozione che mi inorgoglisce e della quale andrò fiero in eterno. Ho fatto in modo che una donna non rimanesse orfana a pochi mesi di distanza dalla morte della madre e ho regalato a me stesso l’onore di aver condiviso un pezzo di vita con una persona speciale. Non perdiamo di vista i valori che realmente contano e non smettiamo di aver voglia di aiutarci e di tendere la mano alle persone che vediamo in difficoltà, soprattutto per dare priorità a delle cose così stupide e frivole, come i selfie e le dirette su facebook.”