La giornalista 53enne Daphne Caruana Galizia è morta nel pomeriggio di lunedì 16 ottobre, nell’esplosione dell’auto su cui si trovava a bordo.
La cronista, 15 giorni fa, aveva depositato una denuncia dopo aver ricevuto minacce di morte.
“Ci sono criminali ovunque si guardi adesso, la situazione è disperata”: questa è il contenuto dell’ultimo post pubblicato sul suo blog da Daphne, mezz’ora prima di rimanere uccisa.
Il corpo, carbonizzato, è stato trovato nella sua Peugeot 208 a pochissima distanza da casa, a Bidnija. È stato il figlio ad avvertire la polizia, dopo aver sentito l’esplosione. Secondo le prime informazioni l’ordigno non era stato posizionato all’interno del veicolo. Forse lo hanno azionato con un comando a distanza.
Daphne Caruana Galizia è diventata una “giornalista scomoda”, dopo che con le sue inchieste ha contribuito a svelare lo scandalo dei Panama Papers e in particolare dei cosiddetti «Malta Files»: le tangenti pagate dall’Azerbaigian alla moglie del primo ministro per oliare la firma di accordi energetici multimilionari, il presidente della banca che fugge dalla porta sul retro con le valigie piene di documenti, i passaporti venduti ai russi, il trattamento fiscale di favore alle società straniere, un traffico di droga internazionale. Daphne con le sue inchieste ha contribuito e non poco a far luce sugli intrighi internazionali che ruotano attorno alla piccola isola del Mediterraneo, dove nelle prossime ore sbarcheranno gli uomini dell’Fbi per fare luce su quella che a tutti gli effetti è una esecuzione.
Il principale bersaglio delle inchieste di Daphne è Joseph Muscat, il premier di Malta che ha sempre respinto tutte le accuse, bollando le rivelazioni della cronista come «fake news». Il suo governo però non è sopravvissuto al terremoto politico che lo ha travolto proprio durante il semestre di presidenza dell’Ue. E così in primavera era stato costretto a indire elezioni anticipate. «Se vincessero ancora i laburisti potrei lasciare il Paese: temo per la mia sicurezza» aveva confidato la giornalista al sito Politico.eu, che a dicembre l’aveva inserita nell’annuale lista delle 28 persone più influenti.
A giugno Muscat, laburista, ha rivinto le elezioni. E ieri ha definito la morte di Daphne «un perfido attacco alla libertà d’espressione». Ha ricordato che «Caruana Galizia era fortemente critica nei miei confronti, sia dal punto di vista politico che personale, ma nessuno può giustificare questo atto barbaro». E ha annunciato: «Non mi fermerò finché non verrà fatta giustizia».
Le sue inchieste sul blog «Running Commentary», che di recente aveva preso di mira anche il capo dell’opposizione per un traffico di droga, chiamavano in causa direttamente Michelle Muscat. La moglie del premier sarebbe stata la titolare di una società con sede a Panama, la Egrant Inc. Nel 2016 la compagnia ha ricevuto vari versamenti da un’altra società con sede a Dubai e intestata a Leyla Aliyeva, figlia del dittatore azero Ilham Aliyev. I documenti pubblicati da Caruana Galizia hanno svelato gli importi di quei bonifici, il più sostanzioso da un milione di dollari. L’accusa è che quei fondi fossero tangenti pagate dal governo dell’Azerbaigian a Malta, con cui erano aveva siglato accordi in ambito energetico.
C’è un’immagine simbolo dello scandalo: un video che ritrae la fuga del presidente della banca maltese Pilatus Bank, proprio l’istituto in cui erano stati aperti i conti correnti sospetti. L’iraniano Seyed Ali Sadr – per evitare i giornalisti – aveva lasciato l’edificio da una porta secondaria con due grandi valigie in mano. Secondo la stampa locale lì dentro c’erano documenti riservati. Una dipendente della Pilatus, considerata un’informatrice, ha raccontato di aver subito pressioni dalla polizia maltese.
Il premier si è sempre detto convinto di poter dimostrare la sua innocenza ed è stato lui a chiedere l’apertura di un’inchiesta. Ma la vicenda si intreccia con altre indagini che hanno coinvolto l’ex capo dello staff di Muscat. Keith Schembri avrebbe infatti ricevuto tangenti per la vendita di passaporti maltesi ad alcuni magnati russi. Proprio il suo nome era stato uno dei primi a comparire nei Panama Papers, accanto a quello di Konrad Mizzi, ex ministro dell’Energia, entrambi legati alle società off-shore registrate nello Stato dell’America Centrale. L’ultimo post di Daphne era riferito proprio del processo a Schembri.
Daphne ha acceso i riflettori su una verità scomoda e pericolosa, come solo gli intrecci che tirano in ballo dei cospicui interessi sanno esserlo e ha pagato con la vita il merito di essere una brava giornalista.