Per i media è Anna Calamita, la 45enne arrestata nel corso del blitz che ha avuto luogo nell’isolato 2 del Rione De Gasperi di Ponticelli lo scorso 19 settembre e che ha portato all’arresto della donna, che da diverso tempo gestiva una piazza di cocaina, e di Umberto Sermone, 38enne che nell’appartamento in cui spacciava era già detenuto agli arresti domiciliari.
Per gli abitanti di Ponticelli è Rosaria, la moglie di uno stimato e quotato pizzaiolo che grazie a quel lavoro, onesto e rispettabile, le garantiva un tenore di vita agiato. E’ rimasto sconvolto il marito, quando ha appreso dell’arresto della moglie, in quanto all’oscuro di quello che accadeva nella loro casa in sua assenza. La stessa 45enne lavorava nell’impresa di pulizia che opera nel centro commerciale “Le Ginestre” di Volla. I soldi in quella casa di certo non mancavano, ma l’entrata più consistente era garantita dall’attività di spaccio che la donna ha esercitato fino a quando non è maturato il suo arresto, grazie alla complicità di Kira, il cane dell’unità cinofila che ha setacciato l’intera palazzina e che è saltato letteralmente addosso alla Calamita, permettendo agli agenti del locale commissariato di scovare le dosi di cocaina che la donna nascondeva nel reggiseno.
Inutili i tentativi di allontanare il cane da parte della donna che, in quell’occasione, è riuscito ad avere la maglio. Non era la prima volta che la polizia perquisiva la casa della 45enne con l’ausilio dei cani antidroga, ma il blitz precedente non aveva sortito gli effetti sperati, seppure la donna custodisse in casa ingenti dosi di cocaina.
Un mancato arresto che i pusher e i personaggi di spicco a capo della piazza di spaccio dell’isolato 2 del Rione De Gasperi festeggiarono stappando una bottiglia di pregiato champagne, brindando “alla faccia” della polizia. Per diverso tempo, la donna si è vantata di aver avuto la meglio e di essere riuscita ad ingannare la polizia e perfino l’infallibile fiuto del cane antidroga. Insultava, derideva, denigrava e sfidava perfino gli stessi agenti che durante la sera del 19 settembre l’hanno tratta in arresto.
Era riuscita ad occultare la droga che deteneva in casa servendosi di un vecchio escamotage, in più circostanze adottato dagli spacciatori dei rioni popolari per sottrarre gli stupefacenti al fiuto dei cani e agli occhi della polizia: aveva nascosto le dosi di cocaina in bottiglie di acqua profumata di marca “Aquolina”. La fragranza prescelta era “zucchero a velo”, quindi un odore particolarmente forte. Con questo sistema, la droga veniva tenuta sottovuoto e “circondata” da un odore forte che isolava le particelle odorose della cocaina, pertanto, le molecole olfattive del cane incontravano questo genere di resistenza, unitamente al fatto che le bottiglie erano disposte su un mobile, quindi il “poliziotto a 4 zampe” doveva osteggiare anche la difficoltà oggettiva di fiutare qualcosa che era collocato “in alto” e che difficilmente poteva attirare l’attenzione degli agenti. Un escamotage utilizzato anche dagli spacciatori dei Bipiani, “le favelas di Ponticelli”, negli anni in cui era quella la piazza più quotata del quartiere, che isolavano la cocaina nelle bottiglie di creolina. Il risultato finale era che i cani lacrimavano quando annusavano le bottiglie e non riuscivano a segnalare la presenza della droga abilmente camuffata. Un “trucchetto” che la donna, incensurata e senza esperienza in materia, non poteva di certo aver praticato di sua iniziativa e che rappresenta una delle prove più schiaccianti utili a dimostrare che Rosaria Calamita era la pedina di qualcuno che “dall’alto” le impartiva ordini.
Forte dell’impunità della quale ha beneficiato fino al 19 settembre, la donna pensava di poter continuare a farla franca, probabilmente in eterno. Questo, a lei e agli altri gestori di quella piazza, ha conferito uno smanioso delirio d’onnipotenza che hanno ostentato costantemente per ribadire la loro supremazia sull’operato delle forze dell’ordine, con il chiaro intento di allontanare lo spettro della paura ed intimorire le persone che li circondavano, costringendoli ad accettare la consapevolezza che potevano solo “subire in silenzio”.
Quella di Rosaria, madre e nonna, che in più di una circostanza ha riposto tra le mani di giovanissimi e benestanti cocainomani ingenti dosi di droga, era una famiglia che beneficiava delle entrate derivanti da due stipendi. Una donna che non spacciava per necessità, quindi, e che ha saputo ampiamente vantarsi dei reati che commetteva, arrivando perfino a denigrare l’operato delle forze di polizia.
Di campanelli d’allarme che lasciavano e lasciano presagire che “la fine di quella piazza” è vicina, la donna e le altre figure che gestiscono lo spaccio di droga nell’isolato 2 ne hanno avuti tanti: eppure, dinanzi al pericolo dell’arresto, Rosaria Calamita non ha manifestato la volontà di cambiare vita o di “salvarsi”, ha preferito perseverare e, come detto, perfino brindare alla disfatta delle forze dell’ordine, quando, per la prima volta, i cani antidroga entrarono nel suo appartamento.
Dopo qualche giorno trascorso nel carcere femminile di Pozzuoli, la 45enne è attualmente detenuta ai domiciliari, presso un appartamento del “nuovo Rione De Gasperi” e sui social sta dando luogo ad un autentico “show del cattivo gusto” che sta indignando molti ponticellesi che non tollerano l’ostentazione di certe teorie “pericolose”. Eppure è opportuno ricordare che alle persone detenute agli arresti domiciliari, è concesso di utilizzare internet, ma non i social network o gli altri mezzi di comunicazione virtuale che consentono l’interazione con altre persone.
Il reato di detenzione e spaccio che ha quotidianamente ripetuto per diverso tempo, nella piena consapevolezza di quello che stava facendo, oggi, attraverso il suo profilo social, viene definito dalla stessa 45enne “una stronzata che le è costata la libertà”.
Intima alle persone che inveiscono contro di lei di non giudicarla perché “non ha creato problemi a nessuno solo a lei e alla sua famiglia e vorrebbe vedere loro in certe situazioni”. Il compimento di un reato viene paragonato ad una “sciagura” a un evento “sfortunato” ed è questo che ha fatto insorgere la parte sana del quartiere: è opportuno chiarire che una malattia, un incidente possono definirsi in questo modo, ma non di certo un’azione che tutti riconoscono e conoscono come illegale e che pertanto è prevedibilmente sanzionabile con la reclusione.
“Questi sono i segnali e i messaggi di cui i nostri figli e questo quartiere non hanno bisogno”: si sintetizza così il pensiero della pubblica opinione, ragionevolmente preoccupata dal processo di commiserazione dei due spacciatori arrestati nel blitz dello scorso 19 settembre e che tiene banco a Ponticelli per merito dei messaggi che la stessa Rosaria Calamita, unitamente ai parenti di Umberto Sermone, stanno lanciando, servendosi di diversi espedienti, nell’opinabile tentativo di alleggerire la loro posizione dinanzi alla legge, quella stessa legge che, loro per primi, hanno denigrato, quando “si sentivano forti”.
Spavaldi e irriverenti fino a quando sono riusciti a farla franca, hanno saputo trasformarsi in un lampo in “povere vittime” che si vedono privare della libertà, per colpa di quella “stronzata”, ovvero, vendere “con orgoglio e fierezza” la cocaina più gettonata dell’intera periferia orientale.