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31 agosto 2016: latitante ucciso a Ponticelli. “Un agguato da Gomorra” che porta la firma della camorra

Luciana Esposito di Luciana Esposito
30 Agosto, 2024
in In evidenza, News
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31 agosto 2016: latitante ucciso a Ponticelli. “Un agguato da Gomorra” che porta la firma della camorra
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omcidio-salzano-con-foto-vittimaMancavano pochi minuti allo scoccare della mezzanotte, quando, lo scorso anno, nell’agosto del 2016, nella notte tra il 30 e il 31 agosto, si consumò un feroce agguato a Ponticelli.

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Il cadavere di un giovane, riverso in una Ford C Max, risultata rubata a giugno ad un cinese residente a San Giuseppe Vesuviano, parcheggiata in una strada isolata, alle porte del quartiere, in via Cupa San Michele, crivellato da quattro colpi di pistola calibro 9 esplosi a bruciapelo alla testa, in una mano stringe un cellulare usa e getta, utilizzato come torcia per illuminare il cruscotto e un piede ancora fuori dall’auto: questa la scena che si presenta agli inquirenti, una volta giunti sul posto, avvertiti da una residente che aveva udito gli spari.

Quel giovane, giustiziato con la violenza cieca e rabbiosa peculiare della camorra, era Flavio Salzano, 29 anni, una figura camorristica che ricopriva un ruolo paragonabile a quello del “Principe”, l’amatissimo personaggio della seconda serie di “Gomorra” che riuscì a conquistare una posizione di spessore e a guadagnare ingenti somme di denaro perché ci sapeva fare con la droga, ma proprio il suo “talento”, lo spinse al centro di una faida tra clan e ne sancì la condanna a morte.

Questa è la sorte che la camorra riserva a Salzano, ma non è “Gomorra” e il 29enne latitante introvabile per gli uomini in divisa, lo ha capito, quando non poteva fare più tesoro di quell’insegnamento, che non si può sfuggire ai sicari della camorra, quella che non conosce errori né perdono.

 Salzano era riuscito a conquistare un ruolo spessore tra le maglie dell’organizzazione egemone a Ponticelli, il clan De Micco.

Nessun segno di lotta, Salzano, probabilmente, non ha avuto nemmeno il tempo di capire che stava per morire. Il29enne, originario di Volla, è stato ucciso da un colpo alla tempia e due in faccia – che di fatto lo hanno reso irriconoscibile, il cadavere è stato, infatti, riconosciuto attraverso le impronte digitali – e uno alla nuca. In tasca aveva una patente falsa utilizzata per gli spostamenti, Salzano, da quando era sfuggito ad un blitz delle forze dell’ordine che a giugno dello stesso anno aveva fatto scattare le manette per 94 persone, era latitante.

Salzano muove i primi passi sulla scena camorristica tra le mura del suo comune d’origine, Volla. Una cittadina vicina e confinante con quel Rione Conocal dove Salzano si trasferisce, dopo un periodo di sparizione dal contesto malavitoso.

Il giovane acquista una casa all’interno del rione Conocal di Ponticelli. Un plesso di abitazioni di edilizia popolare di proprietà del comune dove, per decenni, la camorra ha gestito la compravendita degli appartamenti, sfrattando legittimi assegnatari per fare spazio a “quelli come Salzano”. Infatti, il giovane, una volta entrato nel circuito dei “fraulella”, comincia a intrecciare rapporti e condurre affari con i vertici del clan D’Amico, in particolare gestisce le piazze di spaccio e i traffici illeciti di droga.

Il Rione è prospero: le 14 piazze di spaccio gestite dai “fraulella” fruttano ingenti somme di denaro e richiamano clienti da diversi comuni e quartieri del napoletano. Tutti elogiano “l’amnè dei fraulella” e la definiscono “la migliore in circolazione”, tanto basta per imprimere un’ascendente impennata alle quotazioni in borsa delle piazze gestite nel bunker del clan D’Amico.

Tuttavia, dopo il blitz maturato a marzo del 2015 e che portò all’arresto di 52 persone, nel Rione Conocal e nelle intenzioni di Salzano, si rompe qualcosa: Salzano comincia a passare parte del ricavato delle piazze di spaccio agli acerrimi rivali del clan De Micco, venendo meno a quel diniego di pagare il pizzo “ai Bodo” che nell’ottobre del 2015 costa perfino la vita ad Annunziata D’Amico, la “donna-boss” reggente del clan di famiglia, in seguito all’arresto dei fratelli Antonio e Giuseppe.

Fu proprio “la passillona”, Annunziata D’Amico – così come trapela dalle intercettazioni – a scoprire che Salzano stava venendo meno a quell’imposizione che rappresentava la pietra miliare sulla quale si basavano le fondamenta del clan, come la stessa Annunziata spiega: “O’ Bodo int’ a casa mia nun mett’ nisciuna legge” – “Il Bodo”, ovvero Marco De Micco, reggente dell’omonimo clan, in casa mia non impone alcuna legge – ragion per cui, non pagare al clan rivale la tangente che intendeva estorcere sulle piazze di spaccio, rappresentava un motivo di orgoglio, oltre che un segnale di forza che voleva lasciar trasparire la fiera volontà di non piegarsi alla “legge del più forte”, perché i De Micco, anche agevolati dal colpo inferto al clan rivale rimaneggiato da quegli arresti, stavano guadagnando terreno e stavano diventando più forti dei D’Amico.

Salzano, forse, lo aveva fiutato e animato dal desiderio di vivere una “carriera in ascesa” non voleva inimicarsi quella squadriglia di giovani, cattivi e pronti a tutto. Quando “la passillona” scopre la manovra occulta di Salzano lo caccia di casa e dal rione. In questo momento di difficoltà, Salzano viene aiutato proprio da alcune leve dei De Micco. Ma dopo qualche tempo anche i rapporti con i nuovi alleati si incrinano, fino al violento agguato in cui i sogni di gloria di Salzano vengono definitivamente stroncati.

Salzano, quella sera, durante la sua “ultima sera”, è stato attirato in una trappola da qualcuno di cui si fidava, tant’è vero che i colpi sono stati esplosi a distanza ravvicinata, forse, addirittura in auto, da qualcuno che era tranquillamente seduto accanto a lui, mentre covava quel desiderio di morte e vendetta.

Per abbandonare il covo nel quale si era rintanato per sfuggire all’arresto da quando, insieme a Francesco De Bernardo, era riuscito a sfuggire alle forze dell’ordine, Salzano, quella sera, doveva incontrare qualcuno che lo conosceva bene e di cui si fidava. Proprio queste due ipotesi lasciano spazio ad altrettante ipotesi investigative e collocano gli inquirenti dinanzi ad un bivio: Salzano è stato giustiziato dai D’Amico, per vendicarsi del tradimento rifilato al clan quando il giovane è passato tra le fila dei De Micco o è stato ucciso da questi ultimi per un regolamento di conti interno alla cosca egemone a Ponticelli?

Una questione di soldi legata al mondo della droga. Un torto, uno screzio che Salzano avrebbe rifilato anche ai De Micco. Il bisogno di stroncare la smania di fare carriera, acquistando sempre più rilievo e spessore tra le fila del clan. Un desiderio che Salzano, impazientemente, manifestava.

Questi i moventi ai quali gli inquirenti, in prima battuta, associano quell’agguato che, unitamente al ritrovamento del corpo in una zona di Ponticelli controllata dai De Micco, tendono ad attribuire proprio al clan del quale il giovane era entrato a far parte in seconda battuta.

Passano pochi giorni dall’agguato e dalle voci vicine agli interpreti della malavita ponticellese viene introdotta tutt’altra pista: quell’agosto fu arroventato da un dubbio inquietante per il clan dei “Bodo”, si diceva che Salzano, stanco e sfiancato dalla latitanza, stesse pensando di compiere l’ultimo e definitivo tradimento, rinnegando la camorra e iniziando a collaborare con la giustizia.

Seppure non vi sia alcun dato certo in grado di confermare che effettivamente Salzano avesse maturato questa decisone, i De Micco non potevano lasciare spazio ad incertezze ed indugi e hanno deciso di intervenire stroncando sul nascere qualsiasi possibile pericolo che avrebbe potuto comportare guai sei per il clan.

I Bodo, in effetti, erano particolarmente allarmati, in quanto, seppure Salzano era entrato a far parte del clan da poco tempo, era a conoscenza di recenti fatti che avrebbero potuto sancire il tracollo definitivo del sodalizio criminale, proprio nel momento in cui i De Micco erano riusciti a conquistare il controllo totale del quartiere sul versante malavitoso.

Tra le tante voci che concorrono ad avvolgere la figura di Flavio Salzano e la sua morte in una fitta nube di mistero, una delle più suggestive è quella che attribuisce al giovane un ruolo nell’omicidio di Annunziata D’Amico, in quanto, avrebbe fatto parte del commando di fuoco giunto in Via del Flauto Magico nell’ottobre del 2015, per giustiziare la “donna-boss” proprio nel cuore della sua roccaforte.

E, se fosse veramente andata così, Salzano avrebbe ucciso chi aveva tradito ed è stato tradito da chi l’ha ucciso.

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