Paolo Borrometi è un giovane giornalista siciliano che incarna gli ideali e gli intenti ai quali si ispirano tanti cronisti che si destreggiano tra le difficoltà e i pericoli delle terre dilaniate dalle mafie. Allo stato attuale, nessuno, più di Borrometi, è stato in grado di conferire un contributo alla causa più valido.
Un merito che gli è valso una cospicua collezione di minacce e una menomazione fisica.
“La Spia”: questo il nome del sito d’informazione fondato dal giornalista ragusano e che sbeffeggia, con la pacata lungimiranza che contraddistingue la condotta umana e professionale di Borrometi, il credo del “non vedo, non sento, non parlo”. Nel gergo malavitoso “lo spione” è quello che ripudia l’omertà per spifferare “i fatti della mafia”. Nella storia del giornalismo italiano “La Spia” è un giornale che ha conferito un prezioso contributo alla lotta contro le mafie.
Le inchieste che portano la firma di Paolo Borrometi hanno contribuito allo scioglimento del comune di Scicli per infiltrazioni mafiose e hanno contribuito a far luce su molte altre realtà: il commissariamento per mafia di Italgas (la prima azienda quotata in borsa ad essere oggetto di questo provvedimento da parte del Tribunale di Palermo), il Mercato ortofrutticolo di Vittoria, i trasporti su gomma gestiti dai Casalesi dai Mercati Ortofrutticoli, la presenza mafiosa nel sudest siciliano di Cosa Nostra, le “vie della droga dal Porto di Gioia Tauro fino alla provincia di Ragusa”.
Plurime e sonore le stangate che la penna di Borrometi infligge alla mafia che, dal suo canto, replica con l’unica arma che sa adoperare: la violenza e il linguaggio dell’odio.
Il 16 aprile del 2014, Paolo Borrometi viene aggredito da uomini incappucciati che, a suon di percosse, gli provocano una grave menomazione alla mobilità della spalla.
Nell’agosto dello stesso anno, viene incendiata la porta della sua abitazione e, da allora, vive sotto scorta.
Paolo Borrometi si è visto costretto a trasferirsi a Roma, ciò nonostante, continua a ricevere costanti minacce attraverso i social network e proprio nel suo appartamento romano, pochi giorni fa, “qualcuno” si è introdotto per mettere a segno uno “strano furto”: un hard disk e dei documenti, materiale sensibile e riconducibile alla sua attività giornalistica.
Un segnale, l’ennesimo, lanciato da chi si diverte ad intraprendere uno sfiancante braccio di ferro con lo Stato per professare e rivendicare la propria egemonia.
Il 4 aprile 2017 il Tribunale di Ragusa ha condannato per minacce gravi e di morte, aggravate dalla violenza privata e dalla recidiva nei confronti di Paolo Borrometi, il boss Giambattista Ventura, fratello del capomafia Filippo che lo aveva minacciato più volte di morte affermando pubblicamente: “Ti scippu a testa, d’ora in avanti saro’ il tuo peggiore incubo e poi ci incontreremo nell’aldilà. Ci vediamo anche negli uffici della Polizia, tanto la testa te la scippu u stissu”.
Il furto messo a segno in casa di Borrometi non deve essere percepito come un atto intimidatorio che si limita a ledere solo la libertà e la serenità del giornalista. Per quanto è consistente e prezioso il lavoro di Paolo, quel furto ha arrecato un danno all’intera collettività.
Il fatto che qualcuno abbia sentito il bisogno di introdursi in casa del giornalista solo per sottrarre del materiale riconducibile alla sua attività lavorativa, tralasciando gli oggetti preziosi, senza neanche mettere la casa a soqquadro, conferma e comprova quanto inestimabile sia il valore del lavoro di Paolo Borrometi, agli occhi dei “buoni” e ancor più dei “cattivi”.
Un bene prezioso che ogni singolo cittadino che quotidianamente si ispira agli stessi valori di legalità, verità e giustizia deve proteggere.
Sono le notizie come quelle pubblicate da Paolo gli input di cui hanno bisogno le coscienze per scuotersi e non perdere di vista i valori che rendono la vita degna di essere vissuta. Ed è questo che fa paura alla controparte: la capacità di generare una sorta di affiliazione, opposta e contraria, rispetto a quella sulla quale la mafia fonda il suo “impero del male” e che rischia di far vacillare clamorosamente il muro d’omertà dietro il quale chi delinque e vive nel malaffare può rifugiarsi, con la complicità della gente comune.
La verità sbugiarda i crimini, gli illeciti e le malefatte e permette all’opinione pubblica d’informarsi e di formare un pensiero autonomo e “diverso” e, soprattutto, nel caso delle inchieste di Borrometi, concorre perfino a ripristinare la legalità.
Paolo Borrometi è uno dei giornalisti più attivi e sensibili alla battaglia per la tutela della libertà di stampa e che puntualmente tende la mano ai colleghi vittime di intimidazioni, minacce, pestaggi, seppur di entità minore rispetto a quelle da lui subite.
Più volte, il Presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, Beppe Giulietti, ha definito Borrometi il baluardo che su scala nazionale rappresenta e testimonia l’impegno e l’abnegazione dei tanti cronisti di periferia che raccontano verità scomode in terre sommesse ed isolate e che per questo vanno incontro a minacce e intimidazioni.
Un esercito silenzioso che identifica in Paolo Borrometi il suo più degno comandante.