Secondo il parere degli esperti in materia, una scossa di magnitudo 4, come quella registrata ad Ischia, in circostanze “normali” non è in grado di radere al suolo un palazzo. A patto che il suddetto palazzo sia costruito nel rispetto delle norme antisismiche, premessa ancor più imprescindibile nelle aree in cui la presenza dei vulcani rende il pericolo tangibile e concreto.
All’indomani del sisma che esattamente un anno fa ha martoriato interi comuni del Centro Italia, le direttive impartite dal governo centrale e rilanciate dagli amministratori locali, sembravano orientate in questa direzione: controlli e messa in sicurezza di edifici, scuole e palazzi nel rispetto delle norme antisismiche risuonava il principio ispiratore prioritario da perseguire.
L’abusivismo, in verità, paradossalmente nelle zone rosse del napoletano, appare una politica illegale, sulla carta, ma ormai assorbita come lecita, nei fatti, in primis, da chi viene retribuito per contrastarla. Un fenomeno assai esteso che ha assunto diverse sfaccettature: chi crede che sotto la voce “abusivismo” sia contemplata solo la condotta di ricchi imprenditori o possidenti che edificano lussuose e perentorie ville o strutture alberghiere, nel disprezzo della legge e delle più basilari regole dettate dal buon senso e dall’educazione civica e ambientale, non conosce “gli scantinatisti”, ovvero, coloro che hanno occupato vani in disuso e li hanno adibiti a casa o che hanno ricavato degli spazi in maniera illecita e li hanno adibiti a uso abitativo.
Attività commerciali dismesse, scuole, teatri, perfino ospedali in disuso, sottoscala, cunicoli, occupati e adibiti ad abitazioni e soprattutto gli spazi lasciati vuoti proprio nel rispetto delle norme antisismiche nelle costruzioni di edilizia popolare e murati abusivamente per ricavare box auto, altri appartamenti o locali da adibire ad attività commerciali.
E’ proprio l’abusivismo dilagante in certi contesti a fare da sfondo all’atroce omicidio del 25enne Vincenzo Ruggiero, l’attivista gay ucciso e fatto a pezzi da Ciro Guarente che ha poi occultato i resti del cadavere proprio in un box preso in affitto e ricavato abusivamente tra i vani del “Lotto 10”, rione di edilizia popolare di Ponticelli, che giace accanto ad un autolavaggio, a sua volta, abusivo. L’intera nazione ha avuto modo di appurare questo stato di cose, seppure in quel momento, la notizia prioritaria fosse l’atroce massacro del giovane. Cos’è cambiato in quel rione, in seguito all’involontaria denuncia pubblica di un perpetrato abuso edilizio?
Niente. Il box nel quale sono stati rinvenuti i resti del cadavere del giovane è stato sottoposto a sequestro per ragioni strettamente correlate alle indagini in corso e nient’altro. Nessun altro intervento volto a ripristinare la legalità è stato compiuto.
Sono migliaia le attività commerciali e i nuclei familiari che vivono così, in strutture inesistenti per lo Stato ed alimentate da acqua e luce ricavate, a loro volta, in maniera indebita, allacciandosi ad impianti idrici ed elettrici pubblici o privati, rubando, letteralmente, acqua ed elettricità.
I vigili urbani, talvolta, ci provano anche a ripristinare la legalità: elevano contravvenzioni salatissime, sequestrano i locali abusivi e passano la patata bollente nelle mani degli uffici antiabusivismo. Ai “proprietari” dei locali basta rimuovere i sigilli e riappropriarsi del locale, già poche ore dopo l’intervento di sequestro per ripristinare “la normalità”. E in caso di terremoto, chi pagherà le conseguenze di questa diffusa ed illegale pratica, letteralmente assorbita come un costume “lecito” dai cittadini?
Ben più complessa la situazione sul fronte abitativo, in quanto, “gli scantinatisti” rientrano, per ovvie ragioni, nella categoria dei non aventi diritto ad un alloggio comunale, quindi, l’amministrazione comunale, pur volendo, non può assegnargli una casa “regolare”. E pure quando si provvede allo sgombero, la mancata procedura di abbattimento delle suddette strutture abusive, ne comporta la nuova occupazione da parte di un altro nucleo familiare.
Intanto, quella degli scantinatisti è una piaga che tende ad assumere dimensioni sempre più ampie. Migliaia di famiglie che vivono “sulle spalle” dello Stato o dei cittadini che pagano le bollette dell’acqua e della luce, che non pagano l’affitto né le tasse. Per lo Stato è come se non esistessero, ma, paradossalmente, lo Stato è il loro principale alleato. Si può ormai definire all’ordine del giorno la pratica che porta all’insorgenza di un nuovo vano, di una “baracca”, di un casolare, improvvisato ed edificato in barba alle più elementari norme di sicurezza e che molto spesso insorgono per “spalleggiare” attività illecite, come i combattimenti clandestini dei cani, lo spaccio di droga, arsenali di armi, depositi per le sigarette di contrabbando.
“Un sottomondo del mondo dell’abusivismo”, in pratica, che non fa gli interessi dell’imprenditoria, ma quelli della criminalità più “spicciola” o che semplicemente si ispira al qualunquistico principio del “pure noi dobbiamo campare”.
Allora, in che modo lo Stato italiano conta di attivarsi per contrastare l’abusivismo? E quale “tipologia” di abusivismo intende contrastare? Quello dei ricchi, quello dei poveri o entrambi?
E, soprattutto, chi è in grado di rassicurare gli abitanti dei rioni di edilizia popolare in merito allo stato di agibilità dei suddetti edifici?
Oltre alla sempre aperta e spinosissima “questione amianto” presente in quantità abnormi lungo le tubature di edifici datati e che di per sé basterebbe per ordinarne l’immediato abbattimento, la mancata manutenzione ordinaria e uno stato di fatiscenza, frutto di decenni e decenni di abbandono, li rendono dei veri e propri contenitori di pericoli, capaci di reggersi in piedi per miracolo, ma che difficilmente riuscirebbero ad avere la meglio a tu per tu con una scossa di terremoto.
E, quindi, quale futuro ha in serbo lo Stato per coloro che vivono in edifici fatiscenti e palesemente inagibili?