Via Pipitone Federico – Palermo, 29 Luglio 1983 – Una città mollemente abbandonata nel caldo afoso dell’estate, si sveglia di soprassalto, scossa da un boato fragoroso. Sono passati pochi secondi dall’esplosione e via Pipitone Federico, la mattina del 29 luglio 1983, sembra la periferia di una città appena bombardata: una cinquecento imbottita di tritolo ha appena stroncato la vita e il coraggioso lavoro del Consigliere istruttore Rocco Chinnici, mentre stava per entrare in macchina con la scorta.
Una mattanza, un massacro di uomini, un agglomerato di macerie, calcinacci dovunque, lamiere contorte, vetri infranti, briciole di muri sopra i lenzuoli che coprono i cadaveri; tutt’intorno, come spettri, gli investigatori e i magistrati, smarriti e increduli.
Chinnici era un magistrato con le idee chiare: a capo dell’Ufficio istruzione, dopo la morte dell’amico Gaetano Costa, non si fidava ormai di nessuno, ma aveva deciso di andare fino in fondo e di colpire duro laddove più alti e più forti erano gli interessi di Cosa Nostra.
Chinnici era impassibile, insofferente ad ogni tentativo di condizionamento e di intralcio al suo lavoro. Anche quando per difendere la propria indipendenza ed autonomia, era stato costretto a scontrarsi direttamente con il braccio destro di Andreotti in Sicilia, Salvo Lima. Era accaduto in occasione delle indagini che avevano portato all’arresto di alcuni noti personaggi dell’entourage politico-imprenditoriale della corrente andreottiana in Sicilia. Chinnici, tra l’altro, ha deciso di sciogliere l’enigma degli omicidi Mattarella e La Torre: fa sequestrare migliaia di documenti al Comune, continua le indagini che stava conducendo il collega Costa. A un certo punto vola a Roma sotto falso nome, va al CSM e denuncia: “Ci sono indagini che non si voleva si facessero”.
Il magistrato non nasconde di sentirsi isolato nella conduzione di queste indagini “scomode”; anche l’ufficiale della Guardia di Finanza che stava lavorando a questo filone d’inchiesta è stato trasferito. Passa qualche settimana, ma Chinnici, testardo, continua ad indagare e mette insieme tassello su tassello per costruire un grande affresco di mafia e grandi complicità nella politica e nell’alta finanza, spingendo il piede sull’acceleratore delle indagini. Il Consigliere istruttore riesce appena in tempo a visitare la vedova di Pio La Torre per dirle: “Adesso il caso La Torre chiaro. Dica alla sua amica Irma Mattarella che presto la manderà a chiamare, perchè queste novità riguardano anche lei” Appena in tempo, prima che i giovani ed esperti artificieri di Cosa Nostra portino a termine la loro missione di morte.