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26 luglio 1992: la testimone di giustizia Rita Atria si suicida, dopo la morte di Paolo Borsellino

Redazione Napolitan di Redazione Napolitan
26 Luglio, 2017
in Da Sud a Sud, In evidenza
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26 luglio 1992: la testimone di giustizia Rita Atria si suicida, dopo la morte di Paolo Borsellino
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rita%20atriaRoma, 26 luglio 1992 – Rita Atria è una testimone di giustizia che lungo il suo cammino aveva incontrato Paolo Borsellino, un uomo che stima e di cui si fida. Rita parla. Fa nomi. Indica persone, compreso l’ex sindaco democristiano Culicchia, che ha gestito e governato il dopo terremoto.

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“Fimmina lingua longa e amica degli sbirri” disse qualcuno intenzionalmente, e così al suo funerale, a porgergli l’estremo saluto, la gente del paese nn partecipò. Non andò neppure sua madre, che, disamorata, fredda e distaccata, l’aveva ripudiata e minacciata di morte perchè quella figlia così poco allineata, per niente assoggettata, le procurava stizza e preoccupazione. Inoltre, sia a lei che a quella poco di buono di sua nuora, Piera Aiello, che aveva plagiato a picciridda, non perdonava di aver “tradito” l’onore della famiglia.

Si recherà  al cimitero parecchi mesi più tardi, e con un martello, dopo aver spaccato il marmo tombale, rompe pure la fotografia della figlia, una foto di Rita appena adolescente. Figlia di un piccolo boss di quartiere facente capo agli Accardo, Rita Atria è nata e cresciuta a Partanna, piccolo comune del Belice, una vasta zona divenuta famosa perchè distrutta dal terremoto. Un territorio in cui, in quel periodo, si dice circolasse denaro proveniente dal narcotraffico, e di cui Rita non sopporta le brutture, le vigliaccherie, la tristezza.

Sensibile, eppur ostinata, caparbia, fin dall’adolescenza dimostra di essere molto dura ed autonoma. A casa sua, faide, ragionamenti, strategie, vecchi rancori, interessi di ogni tipo, erano all’ordine del giorno, perchè, suo padre, don Vito Atria, ufficialmente pastore di mestiere, era un uomo di rispetto che si occupava di qualsiasi problema; per tutti trovava soluzioni; fra tutti, metteva pace, “per questioni di principio e di prestigio – sosteneva Rita – senza ricavarne particolari vantaggi economici” tranne quello di rubare bestiame tranquillamente ed avere buoni rapporti con tutti quelli che contavano.

Ciononostante, il 18 novembre dell’85, don Vito Atria, non avendo capito che il tempo è cambiato, e che la droga impone un cambio generazionale, è  stato ucciso. Rita innanzi a quel cadavere crivellato di colpi, fra gli urli e gli impegni di rappresaglia dei famigliari, anche se appena dodicenne, dentro di sé, comincia ad rimestare vendetta. Ma la morte del padre le lascia un vuoto. Rita, allora, riversa tutto il suo affetto e la sua devozione sul fratello Nicola. Ma Nicola era un “pesce piccolo” che col giro della droga, aveva fatto i soldi e conquistato potere. Girava sempre armato e con una grossa moto. Quello con il fratello diventa un rapporto molto intenso, fatto di tenerezza, amicizia, complicità , confidenze. E’ Nicola, infatti, che le dice delle persone coinvolte nell’omicidio del padre, del movente; chi comanda in paese, le gerarchie, cosa si muove, chi tira le fila – trasformando così – una ragazzina di diciassette anni, in custode di segreti più grandi di lei.

Tutto ciò non le impedisce di innamorarsi e fidanzarsi con Calogero, un giovane del suo paese. Fino al 24 giugno del 91, il giorno in cui anche suo fratello Nicola viene ucciso e sua cognata Piera Aiello che da sempre aveva contestato a quel marito le frequentazioni e i suoi affari, collabora con la giustizia e fa arrestare un sacco di persone. Calogero interrompe il fidanzamento con Rita perchè cognata di una pentita e sua madre Giovanna va in escandescenze. Dopo il trasferimento in località segreta di Piera e dei suoi figli, Rita a Partanna è veramente sola: rinnegata dal fidanzato e dalla mamma, non sa con chi parlare, con chi scambiare due parole. Sottomettersi come sua madre o ribellarsi? All’inizio di novembre, ad appena diciassette anni, decide di denunciare il sistema mafioso del suo paese e vendicare così l’assassinio del padre e del fratello. I

Incontra il giudice Paolo Borsellino, un uomo buono che per lei sarà  come un padre, la proteggerà  e la sosterrà  nella ricerca di giustizia; tenterà  qualche approccio per farla riappacificare con la madre. La ragazzina inizia così una vita clandestina a Roma. Sotto falso nome, per mesi e mesi non vedrà  nessuno, e soprattutto non vedrà  mai più sua madre.

Il suo unico punto di riferimento, la sua sola fonte di conforto è il giudice.

Nell’estate del ’92 Paolo Borsellino viene ucciso in un agguato, Rita non ce la fa ad andare avanti. E’ un colpo troppo duro, una perdita insostenibile. Senza il giudice, la strada che irrompe in quella nuova vita si fa troppo ripida e Rita non vuole, non può tornare indietro.

Una settimana dopo la morte di Borsellino, Rita si suicida.

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