Contrada (Avellino), 15 luglio 1982 – Antonio Ammaturo, dirigente della Squadra Mobile di Napoli, aveva intuito un contatto forte tra camorra e brigate rosse: questo il probabile motivo alla base del suo omicidio.
Relazionò su quei fatti, ma non fece in tempo a proseguire le sue indagini: nel pomeriggio del 15 luglio del 1982 fu trucidato insieme a Pasquale Paola, il poliziotto che si trovava in sua compagnia. Ammaturo, irpino, nato a Contrada l’11 luglio del 1925, una laurea in legge ed una serie di concorsi vinti in Polizia e Magistratura, era il poliziotto per antonomasia: fiuto, carattere, cuore. Scelse la Polizia non a caso, prima a Bolzano, perchè forte conoscitore della lingua tedesca, poi ad Avellino, Benevento, Potenza, Giugliano, Gioia Tauro, Siderno, Cassino, quindi ai Commissariati di Mercato e Montecalvo di Napoli prima del suo passaggio alla Mobile. Visse un delle epoche più tristi, critiche e concitate di Napoli, quello della lotta a Raffaele Cutolo, del terremoto, della rivolta di Poggioreale, degli assassini degli assessori regionali Amato e Delcogliano. I Brigatisti, ma forse anche i camorristi con i quali si erano alleati, lo freddarono in Piazza Nicola Amore a pochi passi da casa, mentre, come era solito fare ogni giorno, si stava recando in questura. Con lui scompare una delle figure forti del poliziotto servitore dello Stato.
Il vice questore è l’ennesima vittima di quel patto scellerato tra Brigate Rosse e camorra per la liberazione di Ciro Cirillo, assessore regionale all’Urbanistica rapito proprio dai brigatisti. Quel giorno si consumò una delle pagine buie della storia della nostra Repubblica.
E da quel giorno quella trattativa, avvenuta tra brigatisti e camorristi, rimane ancora avvolta nel grande mistero.
Negli anni seguenti ci sono stati strani omicidi, persone scomparse nel cemento, camorristi saltati in aria, rapporti dei servizi segreti deviati pronti a far sparire ogni prova. Come il rapporto che Ammaturo inviò al Ministero per anticipare una sua intuizione sul possibile patto intervenuto tra poteri criminali. Lo stesso rapporto Ammaturo lo inviò anche al fratello Grazio, ma anche questa volta si perse ogni traccia.
E ancora oggi la famiglia chiede di sapere, pretende giustizia, si batte per conoscere la verità di quel drammatico luglio dell’82. Ammaturo era innamorato del suo paese, era la sua radice dalla quale non si staccò mai pur costretto ad allontanarsene nel suo lungo peregrinare per le questure d’Italia.
Il suo esempio di coraggio, oggi, simboleggia l’orgoglio di una intera comunità che intende ricordarlo alle nuove generazioni come servitore dello Stato, dalla parte della legalità.