È il re, indiscusso e incontrastato, della storia del calcio napoletano e mondiale. Un’icona, un mito, idolatrato come una divinità, venerato come un’immagine sacra. Come San Gennaro, come la Madonna dell’arco e forse anche di più.
Maradona da 30 anni rappresenta una delle cartoline di Napoli più amate dai napoletani, oltre che un ambasciatore della napoletanità nel mondo. Emblema di quel tanto auspicato riscatto sociale che, grazie a lui, attraverso la conquista di due tricolori, la città ha respirato a pieni polmoni.
30 anni fa.
Dopo di lui è calato il sipario sui primati partenopei, non solo calcistici.
E festeggiare l’anniversario di quello che è stato un tempo e poi non è stato più, rappresenta uno sterile palliativo, ma non la conquista di un nuovo successo.
Un atteggiamento da “provinciale” di chi che vive sulla balaustra di un vecchio ricordo e proprio nel giorno in cui il Napoli inizia il ritiro a Dimaro, a Napoli va in scena la nostalgia bardata con gli abiti della gran festa.
Un evento di portata internazionale quello accolto mercoledì 5 luglio in Piazza del Plebiscito: misure di sicurezza straordinarie, una maratona di ospiti e soubrette, il sindaco de Magistris che consegna al fuoriclasse argentino la cittadinanza onoraria, non in piazza, ma a Palazzo San Giacomo, costringendo comunque i media nazionali e non solo, a parlare di Napoli per raccontare l’ennesima notte magica in scena ai piedi del Vesuvio. Perché il nome Maradona, di pe sé, fa notizia.
L’immagine di Maradona tramutata in uno scudo dietro il quale nascondere i problemi, le brutture, le vicissitudini che rendono sempre più amara – a tratti invivibile – la vita intorno al Vesuvio.
Esattamente com’è accaduto durante la realizzazione del sontuoso murales che raffigura il volto di Maradona su uno dei perentori palazzoni di via Taverna Del Ferro a San Giovanni a Teduccio, quartiere alle porte della periferia orientale di Napoli.
Mentre Jorit Agoch veniva fotografato e osservato durante le fasi salienti della realizzazione dell’opera di street art più grande del mondo, proprio alle spalle del palazzo sul quale è stata ritratta la gigantografia di Maradona, un’auto parcheggiata prese fuoco provocando la fusione delle tubature delle colonne fecali che attraversano la parete che fu divorata dalle fiamme.
Mentre era in corso la realizzazione dell’opera di street art più attesa e fotografata di tutti i tempi, nel Bronx, in via taverna del ferro, pioveva letteralmente “merda” dal cielo.
Questa l’immagine che più di ogni altra sintetizza il ruolo che Maradona, suo malgrado e inconsapevolmente, è chiamato a ricoprire oggi: camuffare “la merda” che piove su Napoli e sui napoletani, attirando l’attenzione su effimeri e fuorvianti “effetti speciali”.