Con le audizioni dei presidenti del Genoa, della Lazio e del Napoli, durante la giornata di mercoledì 28 giugno, la commissione Antimafia ha compiuto una decisa accelerazione verso la chiusura dell’indagine sui fenomeni di infiltrazione della criminalità organizzata nelle società calcistiche, che ha raggiunto il culmine tra febbraio e marzo, quando il lavoro dell’apposito comitato si è incrociato con l’inchiesta torinese sui rapporti tra l’esponente della famiglia ndranghetista Rocco Dominello e alcuni dirigenti della Juventus per la compravendita dei biglietti.
Nei prossimi giorni, la commissione terminerà ufficialmente il proprio giro di audizioni ascoltando il presidente della Figc e commissario della Lega Calcio Carlo Tavecchio, per poi stilare la relazione finale e tradurre quanto emerso in proposte di legge.
Le ultime affermazioni dei presidenti convocati dalla commissione, soprattutto per ciò che riguarda le difficoltà di porre un argine ai fenomeni intimidazione e di delinquenza da parte di alcune frange degli ultrà, sembrano avallare l’intenzione dei commissari di proporre misure più severe in materia di sicurezza fuori e dentro gli stadi.
Le misure principali che l’Antimafia intende proporre sarebbero due: una che mira a introdurre il reato di bagarinaggio, e l’altra (che sicuramente farà discutere) è quella di allestire all’interno di tutti gli stadi italiani delle camere di sicurezza, sulla scorta dell’esperienza inglese.
Nel primo caso, il provvedimento è stato richiesto esplicitamente dai pm torinesi titolare dell’inchiesta “Alto Piemonte”, i quali hanno evidenziato il fatto che il bagarinaggio non sia penalmente rilevante, come una falla del codice alla base della scelta di alcuni settori della criminalità organizzata di dedicarsi a questa attività. Nel caso delle celle negli stadi, sarebbe la reintroduzione, da parte del ministro dell’Interno Minniti, dell’arresto differito, a offrire la possibilità di prelevare e mettere in sicurezza quanti si rendano responsabili di atti di teppismo durante eventi sportivi, anche nel caso che la responsabilità di questi venga accertata non in flagranza di reato ma, ad esempio, successivamente con l’ausilio delle telecamere.
Quanto alle audizioni di mercoledì 28 giugno, è stato il presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis a insistere sulla latitanza delle istituzioni di fronte al sistema del calcio italiano, che a suo avviso fa acqua da tutte le parti.
De Laurentiis ha citato il ministro dello Sport Luca Lotti, esortandolo a prendere delle iniziative, a partire dall’abolizione di una legge, la 91 del 1981, non più adeguata all’attuale scenario professionistico del nostro calcio. “Io la abolirei – ha affermato il patron del Napoli – siamo ostaggio negli stadi, non possiamo fare nulla. Bisognerebbe fare tabula rasa – ha aggiunto – questo è invece il Paese dei compromessi, dei ‘non si può fare'”.
Sulle vicende relative al controllo delle curve dello stadio San Paolo da parte di personaggi contigui a clan camorristici, De Laurentiis ha voluto puntualizzare che questo “non può essere un problema di un club, ma deve essere dello Stato, un club non può decidere chi può entrare e chi no e la tessera del tifoso ha distorto la situazione”.
Pur sottolineando che tra la società Napoli e le forze di polizia esiste un rapporto continuo, De Laurentiis si è lamentato del fatto che spesso “i Daspo non vengono comminati” e ha insistito sulle carenze dell’impianto S. Paolo, definito senza mezzi termini “un cesso”.
Inevitabile ripercorrere la vicenda della morte nel 2014 del tifoso napoletano Ciro Esposito, e della “trattativa” allo stadio Olimpico tra la polizia e il capo ultrà partenopeo Gennaro De Tommaso, detto “Genny la Carogna”, trattativa che la presidente della commissione Rosy Bindi ha definito “saggia” in quel frangente, e che De Laurentiis, allo stesso modo, ha definito inevitabile, specificando però di non aver mai conosciuto l’ultrà napoletano.
Più edificante, ma precario il quadro tratteggiato dal presidente della Lazio Claudio Lotito, che ha ricordato le numerose minacce e intimidazioni subite dai capiultrà biancocelesti al momento del suo insediamento alla guida della società capitolina e che continuano, seppure in forma meno allarmante, ancora oggi da parte di anonimi, a causa della sua scelta di “stare dalla parte della legge”, togliendo ai gruppi ultrà una serie di benefit tra i quali la gestione del merchandising della squadra.
Una battaglia per il momento, vinta, se è vero che Lotito ha affermato che “la stessa tifoseria in questo momento si sta comportando in modo corretto, perché sa che nel momento in cui sbaglia non c’è storia per nessuno”. Ma Lotito ha aggiunto che non è stata trovata la panacea, e che si tratta di una “pace armata”. Entrando nel merito delle infiltrazioni criminali nelle curve, Lotito ha spiegato che “il problema è l’elemento criminale: spaccio di stupefacenti, merchandising falso, reclutamento di persone per fare estorsioni e recupero crediti e c’è anche la prostituzione. All’inizio questo fenomeno è stato sottovalutato dalle forze dell’ordine e anche dagli stessi magistrati”. Infine, dal presidente laziale è arrivata anche una proposta che al momento pare di difficile attuazione, quella cioè di abolire le scommesse calcistiche, perché “non va bene che lo Stato viva su un sistema malato”.