Palazzi decrepiti, appartamenti divorati dalla muffa, il degrado che dilaga: questo l’attuale stato di salute del Rione De Gasperi di Ponticelli.
Dopo anni e anni di attesa, proprio di fronte alla voragine di marciume che accoglie quei palazzoni fatiscenti, è sorto “il nuovo De Gasperi”, separato dal vecchio rione solo da una striscia d’asfalto.
La felicità, il sogno di una nuova vita, a due passi da quella realtà da incubo. Vicina e distante. Fattibile e inafferrabile.
Un privilegio per pochi, perché i nuovi alloggi non bastano per tutti gli abitanti dei 28 isolati. E così inizia “la lotteria delle assegnazioni”.
Non tutte le famiglie residenti negli edifici fagocitati dal piano di assegnazione, però, hanno diritto ad un alloggio comunale: e così, i palazzi sono stati sfollati parzialmente e le finestre e le porte delle case sgomberate vengono tumulate per evitarne l’occupazione indebita. Palazzi fantasma, simili a macabri cimiteri e il De Gasperi diventa “il rione delle case murate”.
Un rione che imperversa in una condizione di emergenza, umanitaria e abitativa, mentre poco più di cinquanta appartamenti nel “nuovo De Gasperi” attendono di accogliere le restanti famiglie che scamperanno all’incubo di vivere nel rione fantasma.
Il dato più clamoroso che emerge dall’ultimo round di assegnazioni è quello che racconta di quattro nuclei familiari composti da una sola persona, e per giunta in età avanzata, che si sono visti corrispondere appartamenti di 104 e 110 mq.
Diversi anziani sono deceduti poco dopo aver preso possesso dell’alloggio: qualcuno è morto di gioia, spiegano gli abitanti del rione per ironizzare su quel dramma di proporzioni non quantificabili. Altri sono incorsi in incidenti domestici: cadute, violenti traumi contusivi e infortuni di vario genere.
Un’anziana invalida, si è vista assegnare un appartamento di 104 mq e da quel giorno, la sua vita è diventata un incubo. Vive in due sole stanze, le altre le tiene chiuse a chiave. Ha paura dei rumori e diventa ogni giorno più avvilente destreggiarsi tra i limiti e le barriere architettoniche di uno spazio nuovo che fatica a percepire come suo.
Piange e si dispera, tutte le volte che torna nel “vecchio De Gasperi”, per fare visita ad Adelina, la sua amica di sempre che nel Rione è giunta nel ’54, appena uscita dal collegio, poco più che 16enne.
Dal ’63 la sua numerosa famiglia vive nell’isolato 10 del De Gasperi ed è lì che Adelina “sopravvive” tutt’oggi.
Conserva con cura le ricevute di pagamento di tutti i pigioni, da quello di 2mila lire alla sanzione di 1 euro e 28 centesimi maturate per un ritardo di pagamento, da versare quanto prima, per evitare lo sfratto. Affondando le mani in quel mucchio di scartoffie che custodisce con biblica cura, Adelina percorre una carrellata di ricordi. Alcuni curiosi, altri amari.
In quella casa, in quanto alloggio temporaneo del post-dopoguerra, doveva restarci temporaneamente e, invece, quelle mura hanno accolto i suoi figli e i suoi nipoti e, soprattutto, gli ultimi sospiri dei suoi genitori e di suo marito, morto dopo 15 anni di agonia per un tumore, sopraggiunto in seguito ad un enfisema polmonare, condannato a morte proprio dagli spazi umidi e stretti di quella casa.
Lotta, Adelina, per vedersi corrispondere il legittimo diritto alla casa, ma dagli uffici comunali, negli anni ’90, giunge un verdetto inequivocabile: “case nuove da assegnare non ne abbiamo. Ci sono solo case sfrattate dei camorristi e se vi viene assegnata e li trovate ancora dentro, dovete cacciarli voi.”
Già, ad Adelina è successo anche questo: le è stata assegnata una casa occupata da un boss e “lo Stato” le ha precisato che spettava a lei far valere la sua legittimità d’assegnazione e mettere alla porta quella famiglia.
Adelina e suo marito non sono fatti di quella pasta e hanno cresciuto ed educato i loro tre figli nel rispetto della legalità e della nonviolenza, così, non le resta da fare altro che cedere il passo e la casa alla camorra e attendere che le istituzioni facciano la loro parte.
Mentre ci sono anziane che muoiono di solitudine nel “De Gasperi nuovo”, Adelina, invalida e pressoché impossibilitata a camminare, mentre si muove con rabbia e fatica tra i relitti di quelle mura che ha sempre percepito come un incubo senza fine, sogna di mettere piede in una casa “sua” e realmente degna di questa definizione, prima di morire.
C’è chi muore di gioia e chi rischia di morire logorato dalla speranza. Accade nel 2017, in quella che un tempo era una roccaforte della camorra e che oggi è uno dei tanti contesti periferici dimenticati dallo Stato e dalle istituzioni.