In prima tv assoluta, dopo il grande successo all’ultima Mostra d’arte Cinematografica di Venezia e, nel dicembre scorso, l’uscita evento nelle sale cinematografiche che ha fatto registrare il tutto esaurito in molte città come Milano, Napoli e Roma, il film documentario di Michele Santoro sui babyboss della camorra “Robinù” verrà trasmesso giovedì 15 giugno, alle 21.15, su RaiDue.
Non è la riproduzione falsata, spettacolarizzata e romanzata della realtà: la telecamera si accende sui veri volti dei baby-boss, dei loro familiari devastati dal dolore, il loro racconto diretto e senza alcuna mediazione descrivono – per la prima volta sullo schermo – la storia di un intero giovane popolo ridotto a carne da macello. Sotto gli occhi indifferenti delle istituzioni, hanno evaso qualunque obbligo scolastico, non parlano italiano, hanno i denti già devastati dalla droga, ma esprimono chiaramente sentimenti e passioni di una forza sconosciuta a quella parte di Paese definita “normale”.
Dai vicoli più cupi del centro storico cittadino ai palazzoni fatiscenti della periferia, l’indole cinica, efferata e spregiudicata di questi giovani baby-criminali è una costante che si ripete, presentando tratti pressoché similari, soprattutto nel culto della pistola, percepita come un sorta di entità divina, e nel piacere insito nel desiderio di uccidere.
I protagonisti del documentario sono dei “divi della camorra”: perfetti sconosciuti per la gente comune, autentici idoli per i giovani fan della malavita che in quelle sanguinarie gesta rilevano l’emblema della forza di quei baby-boss e, per questo, li stimano, li rispettano, li ammirano, li osannano.
Salvatore, 24 anni, è uno dei quattro figli di Ciro, storico parcheggiatore abusivo di Porta Capuana, vicino al clan Buonerba, coinvolto nell’escalation di omicidi innescato l’estate scorsa dalla faida con il clan Sibillo.
Salvatore è uno dei protagonisti del documentario che, in barba alla sua giovane età, già rischia l’ergastolo e adesso è a Poggioreale, rinchiuso nel padiglione di massima sicurezza. Ed è anche la storia di Michele, suo fratello, detto Michelino, un babyboss che sta scontando una condanna a 16 anni per tentato omicidio e rapina a mano armata che non ha mai voluto sottostare alle regole di nessun clan. Michele M. sta scontando una condanna a 24 anni, 16 anni con rito abbreviato per tentato omicidio, lesioni, rapina, detenzione illegale di armi. A leggere l’inchiesta che lo riguarda, “Michelino” avrebbe seguito la “carriera” del babyboss in tutti i suoi passaggi: prima, rapinatore; poi, passa a sparare (contro i poliziotti per ben due volte e la seconda mentre era in permesso premio dal carcere minorile) e, fattosi notare per «le palle e la mano ferma», riceve la chiamata del Sistema. Si mette inizialmente al servizio di Salvatore Marino e Massimo Castellano, personaggi di spicco del clan Mazzarella, nel rione Forcella. Poi, l’arresto. Da babyboss “maturo” – ha compiuto 22 anni nel carcere di Poggioreale – non riconosce nessuno dei gruppi della paranza dei bambini attualmente in lotta nel suo rione.
Poi c’è l’idolo dei baby-criminali e aspiranti tali di Napoli est: Mariano Abbagnara, detto “faccia janca” secondo i magistrati, avrebbe fatto parte della paranza di fuoco dei D’Amico, il clan di Fraulella che annovera la sua roccaforte nel rione Conocal di Ponticelli, quello delle stese in pieno giorno, da parte di ragazzini armati e sfrontati, in sella ad imponenti scooter. Mariano ha partecipato all’omicidio di Raffaele Canfora, 25 anni, esponente del clan di Vanella Grassi di Secondigliano. Mariano sta scontando una condanna a 16 anni, nell’Istituto penale minorile di Airola, perché all’epoca dei fatti ers minorenne, per omicidio aggravato dalle finalità camorristiche, distruzione e soppressione di cadavere, porto abusivo d’armi.
Robinù non è un film, ma uno stralcio di realtà sul quale vengono accesi i riflettori e le telecamere per raccontare il black out che si rileva nelle vite di una generazione della quale lo Stato e le istituzioni sembrano non avere tempo e soprattutto mezzi necessari per occuparsene, concorrendo ad accrescere un divario, tra lo Stato e “l’Anti-Stato” che, di stesa in stesa, si fa sempre più pericolosamente insanabile.
Selezionato ai Nastri d’argento 2017 nella sezione “Cinema del Reale” e presentato, oltreché a Venezia, ai prestigiosi International Documentary Filmfestival di Amsterdam (IDFA), Atlántida Film Festival di Palma di Maiorca e alla 20° edizione del Shanghai Film Festival, il film ora approda sul servizio pubblico.