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10 giugno 1984: il 28enne Salvatore Squillace vittima innocente di un conflitto a fuoco tra clan rivali

Redazione Napolitan di Redazione Napolitan
10 Giugno, 2017
in Da Sud a Sud, In evidenza
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10 giugno 1984: il 28enne Salvatore Squillace vittima innocente di un conflitto a fuoco tra clan rivali
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31-salvatore-squillace_28_anni Marano di Napoli, 10 giugno 1984 – Il comune a nord di Napoli, in quegli anni è il quartier generale del clan Nuvoletta. Nella tenuta del clan, a Poggio Vallesana, si consuma uno degli episodi che segnano l’inizio di una delle più feroci faide tra i clan della camorra campana.

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Uomini del clan dei Casalesi e del clan Alfieri, guidati da Antonio Bardellino, entrano con uno stratagemma all’interno del fortino dei Nuvoletta. Sono vestiti da carabinieri. Bussano al citofono. Dall’interno pensano ad uno dei tanti controlli che fanno periodicamente le forze dell’ordine. Invece è la resa dei conti tra clan della camorra. L’obiettivo della spedizione militare è quello di eliminare il capostipite dei Nuvoletta, Lorenzo. L’agguato si conclude con la morte di uno dei rampolli del clan, Ciro Nuvoletta che, ferito, tenta di scappare, ma viene raggiunto dallo stesso Bardellino e finito con un colpo in faccia. Compiuta l’incursione a sorpresa, i Casalesi e il gruppo del clan Alfieri scappano a bordo delle auto con le quali sono arrivati. I picciotti dei Nuvoletta, superato il fattore sorpresa, reagiscono armi in pugno inseguendo gli assalitori mentre scappano in auto. Si spara all’impazzata. In piazza Garibaldi, vicino ad un bar, come ogni domenica, ci sono tantissimi ragazzi. Quando arrivano le quattro auto che sgommano a tutta velocità, le armi da fuoco continuano a sparare.

Colpi di mitraglietta, fucili a canne mozze, pistole.

Si spara per uccidere, incuranti della gente che affolla la strada. Poco prima da quelle parti c’era stata una manifestazione di pensionati.  I ragazzi fuori al bar, quando sentono sparare, si buttano istintivamente per terra per ripararsi dai colpi. Uno di essi, però, non fa in tempo. Viene colpito alla tempia da un bossolo sparato dagli uomini all’interno di quelle auto. Cade in un lago di sangue. Si tratta del giovane è Salvatore Squillace, di 28 anni, lavorava come imbianchino insieme al papà. E quella mattina in piazza Garibaldi non doveva esserci. La domenica mattina non si alzava mai prima di mezzogiorno. Il lavoro di imbianchino lo teneva impegnato per l’intera settimana e nel giorno di riposo se la prendeva comoda. Evidentemente quella mattina il suo destino era segnato. Era scritto da qualche parte che doveva incontrarsi con la morte. Scese alle 9,30, anche perché il sabato precedente non aveva lavorato. Andò fuori al bar, in piazza Garibaldi, per incontrarsi con i suoi amici. Il bar era il loro abituale punto di ritrovo. Le macchine di quelle persone che scappavano da Poggio Vallesana si materializzarono all’improvviso. Salvatore stava chiacchierando con gli amici, quando arrivarono. Salvatore era alto 1,78. Era il più alto della comitiva. Forse anche per questo fu colpito. Gli altri, tutti più bassi di lui, sentirono passare sopra la propria testa i proiettili.

Urla, paura, tante gente che scappava. Salvatore abitava con i genitori a circa cento metri dal luogo in cui fu colpito. Un palazzo dove c’erano altri parenti. La mamma si affacciò dal balcone dopo aver sentito i colpi di pistola e le urla della gente. “Perché tutta questa confusione?”, chiese. Ma nessuno seppe dirle di più. Le dissero solo che avevano sparato e che una persona era stata ferita. Nient’altro. Anche il padre era a casa quella mattina. Lo seppero poco dopo che il ferito era Salvatore. Nel frattempo il giovane fu trasportato al Cardarelli di Napoli. Ci pensarono gli amici di sempre a farlo. Lo caricarono su un’auto e vi arrivarono a tutta velocità. Era ancora vivo.

Salvatore rimase sei giorni in sala di rianimazione, morì dopo sei giorni di coma. Non ci fu più nulla da fare. Ai suoi funerali accorse una folla enorme, gli amici, i rappresentanti delle istituzioni, ma anche quelli che non lo conoscevano. La sua morte colpì tutti.

Salvatore era un ragazzo semplice. E come tutti i giovani della sua età, amava la vita. Spendeva molto del suo tempo libero aiutando le persone in difficoltà. Nella villa comunale di Marano c’è il “giardino della memoria”. In quel giardino c’è un albero col nome di Salvatore. Il Comune di Marano nel 1998 ha intitolato una strada alla memoria di Salvatore Squillace.

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