«Le donne di Secondigliano costituiscono la spina dorsale dell’Alleanza»: questa la definizione affrancata alle “lady camorra” dell’Alleanza di Secondigliano da un ex affiliato, diventato collaboratore di giustizia.
Figura cruciale della camorra in gonnella del clan Licciardi fu Maria Licciardi. Nata a Napoli, nel quartiere Secondigliano, il 24 marzo 1951, Maria è la sorella di Gennaro Licciardi detto ’a Scigna, capo storico del clan omonimo, morto in carcere a trentotto anni di ernia ombelicale.
«Era la cassiera, la mente che organizzò l’affare della merce contraffatta» afferma il pentito Luigi Giuliano.
Latitante per due anni, e inserita nella lista dei trenta criminali più ricercati d’Italia, viene arrestata nel 2001. Ha scontato una pena definitiva di dieci anni per associazione camorristica. Nel 1998 venne fermata mentre stava per consegnare 300 milioni destinati a Costantino Sarno, il numero uno nel traffico delle sigarette, per farlo ritrattare, dopo che, arrestato, aveva manifestato la volontà di collaborare con la giustizia. L’ordinanza di custodia cautelare fu emessa qualche mese dopo, nel 99, ma lei sfuggì al blitz, in cui, invece, fu arrestato il marito, Antonio Teghemiè, detto “James”. Il soprannome di Maria è ’a Piccerella, a dispetto della fama di donna glaciale.
La Licciardi non riusciva ad accettare la morte del nipote Vincenzo Esposito, detto “ il Principino”, ammazzato a vent’anni dal clan dei Di Lauro, nel 1997, per errore, perché, passando in motorino col casco, era stato scambiato per un killer.
I Licciardi, che in pochi giorni fecero 14 vittime per vendicarsi, infine buttarono giù la lista delle vittime predestinate per velocizzare l’eliminazione senza ricorrere alla strategia delle vendette trasversali, invitando così i responsabili a consegnarsi per salvare i familiari, o i familiari a consegnare i responsabili per salvarsi.
Una strategia rimasta famosa come la “Lista della Resurrezione”, perché affissa all’esterno della chiesa della Resurrezione di Secondigliano. La notte del terremoto del 6 aprile 2009 era tra gli ottanta detenuti al 41 bis evacuati dal carcere dell’Aquila, dove, per più di un anno, aveva condiviso i momenti di “socialità” con la brigatista Nadia Lioce.
Maria Licciardi è una donna cattiva e determinata. Fu lei ad ordinare il delitto di Giovanni Paesano perché aveva criticato il suo operato. Ad inchiodare la donna-boss è Gennaro Panzuto, collaboratore di giustizia e che, tra le ante cose, racconta e ricostruisce i retroscena dell’agguato che costò la vita a Giovanni Paesano. L’episodio fu riferito ai pm a dimostrazione della pericolosità e della cattiveria di Maria Licciardi, vera e propria lady camorra, il cui consenso era necessario per qualsiasi decisione.