Enrica Cordua, detta Chettina: questo il nome della prima donna-boss di Ercolano.
La 50enne, madre di quattro figli, viene descritta come una donna provvista di tutte le caratteristiche peculiari di un boss: senza sentimenti, fredda e cinica, a capo del clan Iacomino-Birra, del quale ha fatto parte dagli anni Novanta fino all’arresto avvenuto nel 2012.
Ha controllato tutto, come un vero boss, dal traffico di droga al rifornimento delle armi che avveniva a Scampia, e soprattutto gli omicidi di Gennarino Brisciano e Alfonso Guida, figure di spicco dell’alleanza rivale Ascione-Papale.
La Cardua ha iniziato quando il reggente del clan era Vincenzo Oliviero. Lei operava stabilmente tra via Pace e la Cuparella sul versante Nord degli scavi archeologici di Ercolano. Il traffico della cocaina era fiorente e c’era un via vai continuo.
L’arresto, la decisione della Cardua di collaborare con la giustizia per amore dei figli, per rifarsi una vita e garantirgli un futuro diverso, hanno spianato la strada ad un’altra donna-boss: Antonella Madonna, una giovane donna che aveva ventisei anni e due figlie quando, dopo Enrichetta Cordua, è stata la seconda donna di Ercolano a dettar legge.
Era la moglie del giovane boss a capo dell’ala più agguerrita del clan Ascione-Papale. Antonella era molto di più di una “semplice” moglie”: era la sua confidente, custodiva i suoi segreti. Conosceva nel dettaglio i suoi traffici, condivideva con lui le scelte tattiche, aveva chiaro il bilancio del gruppo. Fu scontato che quando suo marito Natale Dantese fu arrestato, nel marzo del 2010, lo scettro passasse a lei.
Due giorni dopo l’arresto del marito si presentò in una concessionaria di via Benedetto Cozzolino e ritirò la macchina che Dantese aveva ordinato prima di finire in carcere. “Adesso ci sono io”, disse. Con quel gesto iniziò la scalata ai massimi vertici dell’organizzazione criminale del “Canalone”.
Antonella Madonna andava in carcere e prendeva dal marito quelle indicazioni che le consentirono di gestire il clan, evitando che gli altri elementi di spicco del cartello criminale fondato dal marito potessero scalzare la sua egemonia conquistando lo scettro del potere criminale.
La giovane seppe imporre con forza e fermezza la sua autorità di donna-boss: continuò a pagare le mesate agli affiliati, a maneggiare le entrate che venivano dalla droga e dal pizzo. Ordinò spedizioni punitive, rappresaglie contro chi non si piegava alle logiche della camorra. La sua fu una gestione perfetta, tale da evitare che l’impero del male erto dal marito giungesse al declino.
Filò tutto liscio, fino a quando non subentrarono le sue esigenze di donna che la portarono a desiderare di avere di nuovo un uomo accanto a sé. Nel 2011, Dantese fu dichiarato “capo e promotore” del sodalizio, un boss giovane ma carismatico, capace di far trapelare dal carcere quelle notizie che i suoi uomini aspettavano: il ministero ne dispose il trasferimento al 41bis perché le sbarre per lui non erano un ostacolo a delinquere.
Col marito in isolamento e la possibilità di vederlo solo per un’ora al mese, Antonella dovette prendere decisioni senza consultarlo, scegliere senza trasferire ordini: toccava davvero e solo a lei comandare.
Antonella aveva l’ultima parola su tutto e si convinse di poter avere un uomo che non fosse il marito. Conobbe un marinaio, ma non gli disse mai di essere la moglie di un boss di camorra. Tra i due iniziò una relazione clandestina. Anche lui era sposato e padre di un bambino.
La coppia viveva nell’ombra la sua storia d’amore. Antonella di giorno era una camorrista, temibile quanto un uomo, per certi versi anche più pericolosa. Di sera una donna sola come tante, obbligata ad inventare scuse per fuggire da Ercolano, raggiungere un hotel a ore di Terzigno, un nido d’amore che credeva sicuro per sé e per il suo amante.
Le sue sparizioni serali, però, non passarono inosservate. I fratelli di Dantese, che mal avevano accettato le disposizioni del ras che aveva scelto Antonella come sua “erede” e non uno di loro, la tenevano d’occhio. A un certo punto iniziarono a seguirla, fin quando non scoprirono la verità.
La coppia su sorpresa a letto: ci fu un pestaggio. Il marinaio che solo in quel momento capì che quella storia gli avrebbe potuto causare guai ben più grossi di quelli che vengono da un marito geloso, fu minacciato: “Non la vedrai più, sappiamo dove vivi e dove va a scuola tuo figlio”.
Antonella fu riportata ad Ercolano: suo marito, in prigione, il mese successivo ricevette la visita di sua madre, la quale lo informò che la moglie lo aveva “disonorato”. Ma Dantese conosceva bene la madre delle sue figlie, conscio che fosse un pericolo per lui e per il clan, ordinò ai suoi fratelli di non infierire, di lasciarla perdere, di non provocarla. La macchina della vendetta però si era già messa in moto. Antonella fu umiliata, terrorizzata, privata delle sue figlie che furono portate contro la sua volontà a casa della suocera. Imboccò l’unica strada che le restava e fece ciò che il marito temeva: si pentì.
Testimone in tre processi ed è stata minacciata di morte in due occasioni. Dai clan di Ercolano si è staccato un esercito di pentiti, ma solo contro di lei c’è stato un tentativo di vendetta acclarato, un accanimento a tutti gli effetti. In una delle udienze in cui è comparsa collegata in videoconferenza dalla località protetta dove vive con le figlie, è emerso che alcuni degli Ascione avevano scoperto il luogo in cui si nascondeva ed erano pronti a fargliela pagare.