Nel corso della puntata di “Gomorra – La serie 2” andata in onda lo scorso venerdì 21 aprile in prima serata su Raitre, abbiamo acuto modo di conoscere meglio Gabriele, “il principe”, capace come nessuno di tagliare la droga, ucciso per volere di don Pietro Savastano. Gabriele amava lusso e rischio, da piccolo aveva patito la fame e la povertà e dopo aver conquistato un ruolo di spessore nel clan, non ha rinnegato le sue origini e investiva i suoi soldi anche in feste e regali per i ragazzi del rione. In una scena, recita con un bambino che nella vita reale è davvero il figlio di un boss.
Le analogie tra realtà e finzione che emergono attraverso la figura del principe sono molteplici: Gabriele dona in regalo alla sua compagna di colore una pantera nera.
Molti collaboratori di giustizia annoverano tigri e pantere tra “gli animali domestici” posseduti dai boss. Michele Zagaria, il boss dei Casalesi aveva, secondo tanti, una tigre in giardino, utilizzata per far accrescere ancora più la sua fama criminale e far vivere nel terrore i nemici.
Ancor più esplicito il riferimento a Scarface, dove il famosissimo narcotrafficante, interpretato da Al Pacino (Tony Montano) possedeva in casa una tigre.
Gabriele personifica uno stereotipo criminale ben preciso: il giovane con tanti soldi e dedito a praticare la bella vita.
Visto di buon occhio dai giovani che in quella collezione di auto da capogiro ed orologi d’oro identificano un modello da imitare ed emulare, guardato con invidia e sentimenti ostili dagli adulti.
Il principe, intraprendente e spregiudicato, cerca di portare avanti il suo “gioco nel gioco”, ma il suo piano viene mandato in frantumi dal disegno oscuro di Don Pietro Savastano.
Il personaggio di Gabriele, il principe, evoca ricordi e suggestioni ben definite nei ragazzi che vivono nelle “terre di Gomorra”: “è vero che quelli che fanno tanti soldi dentro il sistema fanno regali e qualcuno fa pure la spesa a qualche madre di famiglia che tiene il marito in galera e deve dare da mangiare ai figli, ma non lo fanno con lo spirito del principe, cioè, “senza interessi”. Il suo amico, “il mulatto”, glielo spiega bene: quando uno che sta dentro al sistema fa vedere che tiene i soldi assai, la gente inizia a parlare. Allora, per stare quieti – per non inimicarsi il popolo – i boss fanno i regali, perché la forza grande della camorra non è tanto il clan, ma la protezione delle persone che vivono nei rioni dove si spaccia e dove vivono i boss. Non denunciano, li coprono, li aiutano, li avvisano quando arriva la polizia e molto spesso cercano anche di evitare che vengano arrestati. Su questo principio si basa quella che voi chiamate “omertà”: se il boss non fa più la beneficenza, in molte famiglie non si mangia.”
“Il principe ci fa capire bene pure perché c’è tanto interesse intorno alla droga, ma ancora di più che se sei bravo nel tuo lavoro, non puoi cambiare bandiera: se servi un clan e pensi di passare con un’altra organizzazione, devi capire che firmi la tua condanna a morte. A Ponticelli è successo almeno due volte: Alessandro Malapena e Flavio Salzano.”
Prima di essere ucciso, Alessandro Malapena aveva ricevuto un “avvertimento”. Gli avevano sparato alle gambe, ferendolo ad un polpaccio il 24 agosto del 2013. Ma non si era spaventato. Con qualcuno aveva anche alzato la voce facendo intendere che non avrebbe pagato la “tangente” dovuta a chi gestisce le piazze di spaccio. Uno sgarro che il gruppo di fuoco gli ha fatto pagare con la vita i 22 agosto dello stesso anno, poco dopo le 23 quando si trovava poco distante da viale Margherita, nel quartiere Ponticelli di Napoli, nei pressi della sua abitazione.
Alessandro, 20 anni, precedenti per furto, droga, guida senza patente e danneggiamento, si trovava in sella ad un motorino quando è stato raggiunto da due persone su uno scooter che hanno sparato contro di lui. Ha provato a fuggire, ma ha fatto pochi metri, un colpo lo ha ferito mortalmente al torace ed è caduto: è rimasto a terra fino all’arrivo del padre che ha chiamato i soccorsi. È stato poi trasportato all’ospedale Villa Betania dove è arrivato però già morto. Il giovane gestiva una piccola piazza di spaccio poco distante dalla sua abitazione e gli era stato “imposto”, come ad altri, il pagamento di una tangente. Il racket imposto agli spacciatori e ai ladri di auto. Il 20enne però non aveva nessuna intenzione di cedere, pensava forse che non avrebbero mai potuto ucciderlo per una questione di “poco conto”. Un agguato che è servito però al gruppo criminale per mandare un messaggio a chi come Malapena era “tentennante”.
Alessandro, come il principe, era convinto di poter dettare le regole e di riuscire a “ribaltare il tavolo” al momento opportuno, ma come dice Azmera, la compagna del principe: “i soldi non fermano i colpi di pistola.”
Flavio Salzano, invece, è stato giustiziato nell’agosto del 2016 con cinque colpi di pistola calibro 9 esplosi a bruciapelo, alla testa. Salzano è stato ritrovato seduto al posto di guida di una Ford C Max rubata a giugno ad un cinese residente a San Giuseppe Vesuviano, non ha avuto scampo: il killer gli ha esploso contro cinque colpi a bruciapelo e da distanza ravvicinata che gli hanno sfigurato il volto.
Latitante e introvabile per la legge, ma non per i sicari della camorra con i quali aveva un conto aperto. Il giovane, come affermano gli inquirenti, avrebbe avuto nel corso degli ultimi tempi un ruolo di primo piano nel clan De Micco, la cosca egemone nell’area Est di Napoli. Salzano sarebbe stato vittima di una trappola da una persona di cui si fidava. I colpi contro di lui sono stati esplosi da distanza ravvicinata. Forse sono stati addirittura esplosi in auto.
L’esecuzione prima della mezzanotte, in una zona isolata del quartiere Ponticelli, il quartiere in cui il clan De Micco detiene l’egemonia del controllo criminale, controllando gli affari illeciti quali droga e racket. Sono due le piste battute dagli inquirenti. La prima, porterebbe fuori da Ponticelli; l’uccisione del latitante potrebbe essere stata decisa da gruppi criminali di territori vicini. La seconda e più accreditata ipotesi non escluderebbe un’eliminazione decretata all’interno dello stesso De Micco, in cui Flavio Salzano sembra avesse iniziato a dare fastidio, ottenendo un posto di maggiore rilievo.
Il nome di Salzano compare nelle prime informative che lo indicavano come vicino agli ambienti del clan D’Amico, il gruppo che a Ponticelli si oppone al predominio della cosca dominante, quella dei De Micco.
Poi, con il passar del tempo, il 29enne si era “girato” passando con il clan nemico: cioè mettendosi al soldo dei De Micco.
Privilegiata resta la pista del regolamento di conti interno al gruppo dei De Micco, anche se non possono escludersi altre ipotesi. A cominciare dalla vendetta degli ex amici della vittima, che non gli avrebbero perdonato il tradimento e il passaggio di casacca agli odiati rivali.
Un fatto è certo. Per stanare Salzano dal covo nel quale si era rintanato per sfuggire all’arresto deve essere entrato in azione qualcuno che lo conosceva bene. E del quale la vittima si fidava. Così si spiega anche la circostanza del luogo isolato. Fidandosi della persona che lo ha tradito, il ventinovenne è caduto in una trappola mortale.
Proprio come “il principe”.