L’omofobia può uccidere in tanti modi.
L’ultima vicenda che lo comprova si è consumata in Campania, dove un ragazzo omosessuale originario del beneventano che il prossimo giugno avrebbe compiuto 33 anni, domenica 16 aprile, nel giorno di Pasqua, è morto di Aids, sperando, fino all’ultimo respiro, di riconciliarsi con la famiglia, che lo sveva ripudiato perché omosessuale.
A raccontare la sua storia è Rosario Ferro, infettivologo e responsabile salute di Arcigay Napoli.
“Me lo presentò due anni fa un collega dell’ASL dove presto servizio sapendo che collaboro con l’Arcigay. Aveva bisogno di essere inquadrato clinicamente. Quando ha scoperto di essere sieropositivo, Antonio è stato allontanato dalla famiglia. Da un giorno all’altro si è ritrovato senza casa e lavoro. Con l’aiuto di alcuni colleghi lo abbiamo sistemato in un appartamento per studenti ai Decumani e, nonostante lo stadio avanzato della malattia, abbiamo tentato una terapia. Non ha mai perso la fiducia nella guarigione ma a causa di una complicazione ieri ci ha lasciato. Ha sperato fino all’ultimo di riconciliarsi con la madre. Ma inutilmente perché neanche al cospetto della pietà per la morte c’è stata riconciliazione”
“Non si può morire a 30 anni di omofobia, solitudine e stigma per una malattia come l’AIDS – dichiara Antonello Sannino, presidente di Arcigay Napoli – La storia di Antonio ci dimostra quanti e quali pregiudizi esistono ancora nella nostra società circa le Malattie a Trasmissione Sessuale. Chiediamo che le autorità locali, a partire dalla Regione Campania riattivino subito percorsi di collaborazione con le Associazioni (a partire dalla Consulta regionale delle associazioni per la lotta all’AIDS) e campagne serie di informazione e sensibilizzazioni (a partire dalle scuole) sulle Malattie a Trasmissione Sessuale e sulle paure e i pregiudizi ad esse collegate. Chiediamo che vengano facilitati i percorsi per i nuovi test rapidi sulle MTS”.