Adriana è una trans di 34 anni. È brasiliana, ma vive in Italia da quando aveva 17 anni e mezzo.
Dal 21 febbraio è rinchiusa nel reparto maschile del Cie di Brindisi: un incubo lungo quasi un mese per lei, costretta notte e giorno a stare in un posto in cui non si sente al sicuro.
“Alcuni sono gentili, altri sono molto ostili”, racconta Adriana all’agenzia stampa Dire. Una situazione ormai insostenibile per lei che così ha deciso di iniziare uno sciopero della fame: “Ho già perso otto chili”.
Adriana fino a poco tempo fa aveva una vita normale. Viveva a Napoli, aveva un lavoro come cameriera e un contratto regolare. Poi perde il lavoro e tutto d’un tratto si ritrova irregolare. Del resto le statistiche dichiarano che 8 persone trans su 10 non riescono a trovare un lavoro.
Ma la sua vita è qui in Italia. Dove ha pure un fidanzato: “Avevamo litigato, così per fare pace siamo andati in un albergo”, racconta. Ed è lì che è arrivata la polizia per dei controlli da cui risulta che il suo permesso di soggiorno è scaduto. “Purtroppo- racconta alla Dire Cathy La Torre, che si sta occupando del caso sia come attivista del Mit che come membro della segreteria nazionale di Sinistra italiana- capita frequentemente che arrivino i controlli in un hotel quando ci sono persone trans. A volte li chiamano gli stessi proprietari, a volte gli altri clienti”.
Il deputato di Sinistra italiana, Erasmo Palazzotto, ha scritto al prefetto di Brindisi per segnalare la situazione di Adriana. E il prefetto si era impegnato a chiedere il trasferimento di Adriana in un reparto femminile.
Ma finora nulla è cambiato.
Tra l’altro il 10 aprile si riunirà la commissione che deciderà se concedere la protezione umanitaria ad Adriana: “In Brasile c’è il più alto tasso di omicidi di persone trans, nell’ultimo anno circa 300 casi. Adriana ha dunque tutte le carte in regola per ottenere la protezione umanitaria. La sua famiglia non sa che è trans e se tornasse nel suo Paese correrebbe rischi enormi”. Ed “è qui in Italia da 17 anni, non costituisce certo un pericolo sociale”. Da quando Adriana è rinchiusa nel Cie, inoltre, non le vengono somministrate più le cure ormonali di cui ha bisogno “e che sono farmaci da non interrompere senza controllo medico. Purtroppo le trans sono spesso ultime fra gli ultimi”. E quando si trovano ad avere a che fare con la giustizia precipitano in situazioni paradossali: “Nel carcere di San Vittore- racconta La Torre- le persone trans sono detenute nel braccio dei sex offenders, ovvero tra pedofili e stupratori. Il che significa per loro vivere 23 ore su 24 chiuse nelle loro celle terrorizzate, senza neanche poter usufruire dell’ora d’aria”. Da tempo come Mit “abbiamo investito del tema il Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria, ndr), basterebbe un semplice decreto per metterle tutte insieme in un reparto dedicato, in fondo si parla di circa 100 persone in tutta Italia”. Finora però nulla si è mosso. Intanto per Adriana lunedì arriverà anche un’interrogazione in parlamento di Sinistra italiana.
Quali sono i diritti di una persona trans quando si trova rinchiusa in un luogo di reclusione, quanto conta la sua vita, quanto pesa la sua storia, quanto vale la sua dignità?
I pregiudizi e lo stigma sociale nei confronti delle persone trans spesso creano contesti di violenza inaudita, tanto più in quelle scatole opache e blindate in cui la giustizia ordina di sospendere la libertà personale.
Adriana aspetta che una Commissione valuti la propria richiesta di asilo, visto che nel suo Paese d’origine non sanno della sua trasformazione di uomo in donna e la violenza anti-trans è un fenomeno generalizzato.
Adriana aspetta di sapere quale sarà il suo futuro, nel frattempo chiede di stare dove la sua natura le dice di stare.