Bari, 16 marzo 2011– Giuseppe Mizzi, detto Pino, viene assassinato in un agguato di stampo mafioso nel rione di Carbonara, è stato ucciso due volte.
Per la prima una pistola e la mano di un sicario, pochi secondi sono stati sufficienti.
La seconda ha richiesto alcuni mesi, l’impegno di professionisti dalla penna veloce e qualche riga di giornale. Invece del sangue, è stato sparso inchiostro nello spasmodico rituale che è diventato oramai la stesura di un articolo di cronaca. È stato facile distruggere la memoria di un uomo incensurato, che non aveva contatti con la criminalità organizzata e che, padre di due bimbi, onestamente costruiva loro un futuro.
«Mio figlio si alzava alle tre del mattino per andare al lavoro – mamma Lucia è tutta rabbia e determinazione – denuncerò chi ha diffamato il suo nome… era un uomo onesto, non uno spacciatore come avete scritto voi giornalisti!».
Perché un uomo ucciso dalla mafia, se non è un eroe, deve essere per forza “uno di loro”, “uno di quelli”. È così che Pino è diventato per la società lo spacciatore, il criminale di turno. Tanto, cosa importa, i cadaveri dei morti ammazzati in una faida tra clan sono tutti uguali: muti e colpevoli.
Eppure Pino, quel pomeriggio di marzo, è stato ucciso al posto di un altro. Non c’entrava niente con la mafia, non era uno spacciatore: si è trovato al posto sbagliato nel momento sbagliato. «Era uscito a comprare le sigarette – raccontano i famigliari – rientrava a casa quando è stato sparato alle spalle».
Molti articoli di giornale e servizi televisivi avrebbero fornito informazioni sbagliate in merito alla dinamica del delitto. «Non è vero che nostro figlio è stato colpito in volto, tanto meno tra gli occhi – mamma Lucia e papà Andrea sono chiari – Pino è stato colpito alla nuca e alle spalle, il suo volto era intatto al momento della sepoltura».
Tante le inesattezze, tanto fango gettato sul nome del proprio caro, hanno segnato a fondo il destino di una famiglia come tante, proletaria, che da un giorno all’altro si è trovata schiacciata nel vortice di un ciclone mediatico che la vedeva “mafiosa”, quando era già difficile affrontare il dolore per la perdita di una persona amata.
La vedova Mizzi, disoccupata, è rimasta sola a crescere due ragazzini di cinque e quattordici anni e Pino aveva sulle spalle un mutuo con altri sei anni di rate da pagare.
Un tragico scambio di persona, sei anni fa, portò all’assurda morte di Giuseppe Mizzi, ucciso per le vie di Carbonara il 16 marzo 2011 e per il quale è stato condannato Antonio Battista, boss ritenuto affiliato al clan Di Cosola, ritenuto il mandante dell’omicidio: questa mattina, nel quartiere alla periferia del capoluogo, si è svolta una cerimonia di commemorazione a cui ha preso parte, in rappresentanza del Comune, l’assessore allo Sviluppo Economico, Carla Palone.
“Sono qui oggi per testimoniare la vicinanza dell’amministrazione comunale alla famiglia di Giuseppe Mizzi e a sua moglie Katia – ha affermato Palone -. Sono trascorsi 6 anni da quel terribile omicidio, che è costato la vita ad un uomo mite, un marito amorevole, legato ai suoi familiari: una persona innocente. Giuseppe Mizzi ha pagato con la vita un tragico scambio di persona, che l’ha sottratto per sempre all’amore dei suoi cari. Questa commemorazione rappresenta un momento importante per la famiglia di Giuseppe Mizzi e per la nostra città, che non deve dimenticare quanto accaduto a lui e alle altre vittime innocenti di mafia, come Michele Fazio e Gaetano Marchitelli. Continueremo a ricordarli, qui e altrove, perché solo attraverso la verità e la giustizia si può convivere con il dolore, soltanto attraverso la forza della memoria si può riprendere il cammino e guardare avanti”.“