Nelle ore antecedenti, il comune di Napoli ha approvato una delibera volta a dare il via al Piano strategico di risanamento stabile e rilancio dell’ANM redatto dall’Amministratore Unico. Nel Piano strategico vengono definite le misure, da realizzarsi entro il 2019, per garantire il miglioramento del servizio di trasporto pubblico in città e per garantire i lavoratori e il rilancio dell’Azienda.
Nei giorni scorsi per gli utenti del trasporto pubblico a Napoli ci sono stati notevoli disagi a causa dell’agitazione del personale dell’Azienda napoletana mobilità.
Il Comune di Napoli, con l’approvazione di questo atto deliberativo, si legge in una nota, “ha assunto importanti impegni. E’ stato, infatti, deliberato l’aumento del capitale di ANM per 65 milioni di euro attraverso il conferimento di immobili comunali. Sono stati, inoltre, destinati, per i prossimi tre anni, 54 milioni di euro/anno per garantire i servizi di trasporto pubblico e 3 milioni di euro/anno per le manutenzioni delle infrastrutture”.
Oltre all’impegno finanziario, accanto c’è l’impegno per l’acquisto di 12 nuovi treni per la linea M1, la cui consegna è prevista per metà 2018, e all’acquisto di 70 nuovi autobus. Previsto anche un incremento del costo del biglietto di corsa semplice a 1,10 euro già dal 2017 e, successivamente a 1,20 euro dal 2018 e 1,30 euro dal 2019.
Un segnale di speranza per chi si vede costretto ad usufruire dei mezzi di trasporto pubblico per spostarsi, tra le briglie di una città complessa, anche sotto il profilo strutturale, e collegata piuttosto male con l’hinterland vesuviano.
Il deficit della circumvesuviana, la crisi delle corse a singhiozzo, la moria dei bus di linea che obbligano i cittadini a sobbarcarsi anche ore di attesa per compiere spostamenti di poche dozzine di chilometri.
La storia di Roberta è indicativa e ben racconta gli innumerevoli disagi e disservizi accumulati ed incassati da anni da parte di studenti e lavoratori costretti a raggiungere il centro cittadino avvalendosi dei bus. Una “battaglia quotidiana” che dura ormai da 10 anni: “quando andavo a scuola dovevo svegliarmi di notte per aspettare il pullman e arrivare in orario, lo stesso devo fare oggi per andare a lavorare.”
Dal Rione Conocal di Ponticelli a via Ponte di Casanova a Napoli: circa 9 chilometri. Una distanza irrisoria, verrebbe da dire che, invece, diventa quasi insormontabile in alcuni momenti, come testimonia la giovane.
“Il 191 è il bus che attendo ogni mattina e che mi riporta a casa la sera, quando finisco di lavorare. Posso “perdere” pure tre ore per arrivare al negozio. Non parliamo del rientro. Ore di attesa, viaggiatori molesti. Il freddo d’inverno, il caldo d’estate, la paura. No, non si vive bene così.”
Un calvario iniziato quando si è iscritta alla scuola per conseguire il diploma di parrucchiera: “essendo una scuola privata – racconta Roberta – se arrivavo in ritardo qualche volta, le insegnanti chiudevano un occhio, ma comunque mi sentivo a disagio e anche un po’ in colpa, non volevo che pensassero: “guarda a questa com’è irresponsabile”, ma non era colpa mia. A volte capita che perdo il primo autobus e aspettare che ne passi un altro è una lotteria. La circumvesuviana la mattina presto fa paura. Così come la sera, tant’è vero che alle 18 chiudono tutto. Degradata, isolata, mal frequentata, non è una stazione adatta a una ragazza sola. Se ti succede qualcosa, hai voglia di urlare, nessuno ti sente.
Ho sempre trovato ingiusto che devo mortificarmi per una cosa di cui non ho colpa, ma non è la cosa peggiore che mi sia capitata.”
Una volta terminati gli studi, Roberta ha subito trovato lavoro, come lei stessa racconta, è una passione che ha nel sangue: “amo tantissimo fare la parrucchiera e se dipendesse da me, arriverei in negozio saltando, ma l’attesa, il traffico, i disagi e lo stress accumulati, ti innervosiscono, non ti fanno vivere bene. E non sai nemmeno con chi te la devi prendere. Il primo salone in cui trovai lavoro, mi piaceva tanto, ma era nella zona collinare di Napoli, quindi, dopo il bus dovevo prendere la metro e anche se fin da subito capii che poteva essere solo una sfida impossibile, ci ho voluto provare. Sono stata licenziata dopo due mesi, perché arrivai tardi proprio la mattina in cui il titolare doveva pettinare una sposa e noi ragazze dovevamo occuparci di invitate e parenti. La mia assenza arrecò dei disagi e delle difficoltà alle mie colleghe e il mio titolare si infuriò per questo, mi accusò di essere una persona inaffidabile e non volle sentire ragioni. Messa alla porta come un’irresponsabile, arrivai a piedi a piazza Garibaldi, ho pianto per tutto il tragitto. A casa i miei soldi servono. Papà si arrangia con qualche lavoretto, mia madre è casalinga. Mio fratello più piccolo va ancora a scuola. Non gli dissi che mi avevano licenziata, diedi alla mia famiglia anche quelle poche centinaia di euro che mi ero messa da parte per me, per togliermi qualche sfizio. Trovai subito un altro lavoro, ma il problema si ripresentava continuamente. Mi metto anche nei panni del titolare di un negozio che deve curare i suoi interessi, ma per me è assurdo che non posso essere messa in condizione di lavorare perché non c’è uno straccio di pullman in grado di coprire in maniera più dignitosa una distanza di 10 chilometri.
Molto spesso, mentre aspetto che arrivi il pullman, provo a fare un conto del tempo della mia vita che ho perso così e a quante cose avrei potuto fare, se potevo disporre di quel tempo in maniera diversa: un’oretta, se tutto va bene, ogni mattina, anche 2-3 ore, se va male. Lo stesso vale per la sera. Ho 21 anni e ho capito che ho sprecato ore preziose di quelli che dovrebbero essere gli anni migliori della mia vita.
La paura di fare tardi e lo stress che accumuli aspettando un pullman sono i disagi più brutti da vivere. Se pensiamo che c’è gente che in un’ora arriva a Roma, è assurda la condizione in cui siamo costretti a vivere.”