12 marzo 1977 – Gioiosa Ionica: Rocco Gatto è un mugnaio iscritto al Pci, un uomo onesto, che non vuole piegarsi al racket e non ha paura. Lo uccidono a colpi di lupara, poco dopo una testimonianza per fatti che non lo riguardavano direttamente. Dall’apertura del mulino di via Gramsci, Rocco subisce richieste estorsive e minacce da parte di Luigi Ursini e Mario Simonetta, il capoclan e il gregario, imputati per la vicenda del mugnaio e condannati in via definitiva nell’88 per estorsione aggravata.
Rocco Gatto non è solo a lottare contro la ‘ndrangheta. A Gioiosa s’incrociano storie uniche. Gioiosa è il paese dello sciopero cittadino contro la mafia, nel ’75, il primo in Italia. È anche il primo Comune a costituirsi parte civile in un processo contro le cosche.
Poche settimane dopo aver testimoniato contro gli estorsori, Rocco è alla guida del suo furgone Fiat, è ancora mattino presto. Porta i sacchi della farina da consegnare. Due colpi o tre, in successione. Fucili con pallettoni caricati a lupara. Il camion prosegue la sua marcia per qualche metro. Qualcuno soccorre Rocco, lo aiutano a scende, lo distendono, ma non basta a salvargli la vita. 12 marzo 1985 – Cosenza: L’ordine di uccidere Sergio Cosmai, direttore del carcere di Cosenza, è partito proprio da lì, dall’interno del carcere. A decretare l’omicidio è la malavita comune. Gli inquirenti non hanno dubbi. Anche se non vengono trascurate le altre piste, compresa quella politica, legata alla rivendicazione fatta un’ora dopo l’attentato: «Siamo i comitati comunisti rivoluzionari….».
Sergio Cosmai, 36 anni, di origine pugliese (era nato a Bisceglie), dirigeva il penitenziario cosentino dal 1982. I rapporti con i detenuti erano molto tesi. Il nuovo direttore era intervenuto con fermezza e gli episodi di violenza tra clan mafiosi erano finiti. Pochi giorni prima, Cosmai aveva scoperto un traffico di droga all’interno del penitenziario e lo aveva stroncato.
Il direttore del penitenziario è morto dopo una breve agonia all’ospedale di Reggio Calabria, lasciando la moglie, in stato di gravidanza, e una bambina di sette anni.
12 marzo 1991 – Locri: Antonio Valente, 31 anni, operaio, muore in ospedale il 12 marzo del ’91. La sera prima era rimasto vittima di un agguato, una vendetta trasversale: i titolari della ditta dove lavorava hanno detto no al pizzo, e gli estorsori decidono di alzare il tiro.
Ai fratelli Gallo, titolari della società, erano arrivate diverse richieste di denaro da parte di una banda locale. Somme ingenti. Al rifiuto di versare la mazzetta seguono gli attentati dinamitardi contro i camion e i colpi di pistola contro i mezzi della ditta. Poi l’agguato. Sul campo resta una vittima innocente, un semplice dipendente della ditta finita nel mirino degli estorsori.
12 marzo 1997 – Bovalino: Aveva 28 anni e un debito per una partita di marijuana. Morire per 300mila lire. Totò Speranza era un ragazzo come tanti altri, pieno di paradossi e di debolezze. Brillante e socievole. Fumava marijuana e non ha saldato il debito. E così il 12 marzo del 1997 hanno ammazzato Totò, a 28 anni.
Un ragazzo cresciuto nella Locride, a Bovalino. In mezzo alle faide e ai sequestri, in un paese che non offriva e non offre nulla. Totò ha cercato la sua strada. A modo suo. Con un giubbotto di pelle, le borchie e la cresta è stato il primo punk della Locride. Isolato ma felice. A 17 anni, per gioco, ha preso in mano il basso, che non aveva mai suonato. E allora via all’avventura con il gruppo degli Invece, insieme agli amici di sempre, Salvatore Scoleri e Peppe De Luca. Suonavano una musica rivoluzionaria, il dialetto come mezzo di espressione. Nell’87. Totò finisce nel tunnel della droga, ma ne esce. Pieno di umanità. Poi la voglia di riprovarci, a Bovalino. Ma qualcosa non ha funzionato. Per l’omicidio di Totò è stato condannato a 17 anni Giancarlo Polifroni di Benestare, per anni latitante e coinvolto in un traffico internazionale di droga. Ogni anno il gruppo degli Invece, che ha dedicato a Totò l’album “Ma comu si faci”, tiene un festival musicale a Bovalino.