Tre morti in carcere nel giro di quattro giorni.
Napoli Poggioreale, Bologna e Regina Coeli a Roma: sono le carceri italiane nelle quali, negli ultimi quattro giorni, tre detenuti si sono tolti la vita in cella.
A questi numeri si addiziona il caso del suicidio avvenuto nel carcere di Regina Coeli, dove un 22enne evaso per tre volte dalla Rems di Ceccano (Frosinone) e condotto in carcere per resistenza e danneggiamento. Il giovane si è impiccato utilizzando un lenzuolo legato alla grata del bagno.
Il Garante dei detenuti del Lazio, Stefano Anastasia, ha subito dichiarato: “Questo ragazzo era scappato da una Rems (strutture che hanno sostituito gli Opg) e a lui erano contestati solo reati di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni. Reati tutto sommati irrilevanti e legati al fatto che era andato via dalla Rems. E allora mi chiedo, perché non è stato riportato alla Rems? Perché si trovava in carcere? Questo suicidio si poteva evitare”.
Sulla stessa lunghezza d’onda i radicali italiani, che affermano: “Si muore in carcere, perché si ‘evade’ da una misura di sicurezza che non dovrebbe esistere. La battaglia, sacrosanta contro gli Opg, che dopo la loro chiusura ha spostato l’attenzione su quanto avviene nelle Rems, deve ora lasciare il posto a un più deciso intervento di riforma, che abroghi le misure di sicurezza. Sono queste infatti lo strumento attraverso il quale il malato psichiatrico continua a essere oggetto di segregazione ed esclusione sociale”.
Un fatto questo che avviene a pochi giorni dalla chiusura definitiva degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari e che dimostra quanto ancora si debba fare in questa direzione. Non sappiamo ancora bene la storia accaduta nel carcere di Regina Coeli, ma ogni suicidio è una sconfitta, una disfatta per lo Stato che aveva in custodia la persona.
Nella giornata di ieri, inoltre, Antigone è stata contattata proprio dalla madre del giovane ragazzo suicidatosi nella tarda serata di venerdì presso il carcere di Regina Coeli. “La donna ci ha inviato l’ultima lettera che suo figlio aveva spedito al fratello lo scorso 16 febbraio, affinché fosse resa pubblica”, sottolinea l’associazione. Nella lettera emergono con chiarezza la difficoltà psicologiche di cui soffriva il ventiduenne che fa riferimento anche all’ipotesi di suicidarsi. “Dopo aver letto questa lettera – dichiarano Patrizio Gonnella (presidente di Antigone) e Stefano Cecconi (campagna Stop OPG) – dobbiamo ribadire quanto già affermato. Il punto nel caso specifico non riguarda la prevenzione dei suicidi in carcere. Non dobbiamo interrogarci se fosse giusto che quel ragazzo avesse in cella con sè le lenzuola o altri oggetti che avrebbe potuto utilizzare per togliersi la vita. Il punto è che persone, ancor più così giovani, con problematiche di questo tipo, devono essere affidate al sostegno medico, sociale, psicologico dei servizi delle ASL territoriali e non messe dietro le sbarre di una cella. Non possiamo trattare persone con problemi di salute come se fossero dei criminali pericolosi. Dobbiamo quindi interrogarci sul perchè questo non sia avvenuto. Dobbiamo farlo affinchè casi come questo del ventiduenne non tornino a ripetersi”.
I dati sulle morti in carcere, secondo lo speciale Dossier “Morire di carcere” di ristretti Orizzonti, parlano già di 20 morti nell’anno in corso, di cui 10 suicidi. E’ già un record, se pensiamo che in tutto lo scorso anno si sono tolte la vita in cella 39 persone (su 110 morti). In totale, dal 2000 sono ben 937 i suicidi in carcere, 2626 le morti complessive. Il picco di suicidi si è avuto nel 2009, con 72 persone che si sono tolte la vita. Il Sappe: “Persistono drammi umani dietro le sbarre”. Il Sindacato autonomo di Polizia penitenziaria (Sappe) torna a denunciare la crescente tensione nelle carceri del Paese. Spiega il segretario, Donato Capece: “Tre suicidi in quattro giorni tra le sbarre di tre penitenziari italiani evidenziano come i problemi sociali e umani permangono (eccome!) nelle carceri del Paese, lasciando isolato il personale di Polizia penitenziaria (che purtroppo non ha potuto impedire i gravi eventi) a gestire queste situazioni di emergenza. Il suicidio è spesso la causa più comune di morte nelle carceri. Gli istituti penitenziari hanno l’obbligo di preservare la salute e la sicurezza dei detenuti, e l’Italia è certamente all’avanguardia per quanto concerne la normativa finalizzata a prevenire questi gravi eventi critici. Ma il suicidio di un detenuto rappresenta un forte agente di stress per il personale di polizia e per gli altri detenuti. Per queste ragioni un programma di prevenzione del suicidio e l’organizzazione di un servizio d’intervento efficace sono misure utili non solo per i detenuti ma anche per l’intero istituto dove questi vengono implementati. E’ proprio in questo contesto che viene affrontato il problema della prevenzione del suicidio nel nostro Paese. Ma ciò non impedisce, purtroppo, che vi siano ristretti che scelgano liberamente di togliersi la vita durante la detenzione”. E continua: “Negli ultimi 20 anni, le donne e gli uomini della Polizia penitenziaria hanno sventato, nelle carceri del Paese, più di 21 mila tentati suicidi ed impedito che quasi 168 mila atti di autolesionismo potessero avere nefaste conseguenze. Il dato oggettivo è che la situazione nelle carceri resta allarmante. Altro che emergenza superata! Contiamo ogni giorno gravi eventi critici nelle carceri italiane, episodi che vengono incomprensibilmente sottovalutati dall’amministrazione penitenziaria. Ogni 9 giorni un detenuto si uccide in cella mentre ogni 24 ore ci sono in media 23 atti di autolesionismo e 3 suicidi in cella sventati dalle donne e dagli uomini del Corpo di polizia penitenziaria. Aggressioni risse, rivolte e incendi sono all’ordine del giorno e i dati sulle presenze in carcere ci dicono che il numero delle presenze di detenuti in carcere è in sensibile aumento. E il Corpo di Polizia penitenziaria, che sta a contatto con i detenuti 24 ore al giorno, ha carenze di organico pari ad oltre 7 mila agenti”.