Demonizzato ormai da mesi, l’olio di palma non sarebbe poi così male. L’Università degli studi Federico II di Napoli ha pensato a riabilitare l’olio vegetale, nell’ambito di un convegno tenutosi recentemente presso il dipartimento di Farmacia dell’ateneo campano al quale ha preso parte, tra gli altri, il professor Marco Silano dell’Istituto Superiore di Sanità.
All’AdnKronos Silano spiega perché, secondo l’ISS, “non sussistono ragioni per cui l’uso dell’olio di palma debba essere proibito”.
Su richiesta del Ministero della Salute e dopo “un’attenta revisione di tutti i dati messi a disposizione dalla letteratura scientifica, abbiamo redatto un parere sulla eventuale tossicità dell’olio di palma”, afferma lo studioso. E la conclusione a cui l’ISS è approdato è che “l’ingrediente olio di palma non ha alcuna sostanza tossica di per sé”.
Esiste però una criticità. L’olio di palma – prosegue Silano – contiene “una quantità di acidi grassi saturi maggiore rispetto agli altri olii vegetali, al posto dei quali viene utilizzato (l’olio di semi di girasole, ad esempio, contiene il 15% di grassi saturi)”. Il consumo di acidi grassi saturi, sottolinea l’esperto, “è associato in letteratura a un aumentato del rischio cardiovascolare”, che può portare a “infarti, arteriosclerosi e ictus”.
In realtà è altrettanto vero che l’olio di palma “può sostituire olii vegetali che hanno ancor più acidi grassi saturi (l’olio di cocco arriva all’80%, per esempio) e ha permesso eliminazione dei acidi grassi idrogenati trans, che hanno un effetto dannosissimo sulla salute cardiovascolare”.
Silano ricorda che “esistono due grossi gruppi di acidi grassi saturi: quelli presenti negli alimenti non trasformati (carne di vario genere, formaggi, latte e uova) e quelli contenuti nei prodotti della trasformazione industriale, a cui è addizionato l’olio di palma”.
Ciò che il consumatore deve fare, sostiene il professore, è “regolarsi in maniera tale che acidi grassi saturi non superino il 10% nella dieta giornaliera (per quanto riguarda la popolazione generale)”. Quello che conta, infatti, “non è il singolo alimento ma il pattern nutrizionale che si segue. Ovviamente sta al singolo individuo fare attenzione”.
Secondo Silano “la criticità dell’olio di palma rientra nella quantità di acidi grassi saturi che compongono la dieta di una persona. Non basta eliminare un singolo prodotto, ma va valutata l’intera dieta”. E se per gli adulti il problema non sussiste, “la categoria a rischio è quella dei bambini dai 3 ai 10 anni, che assumono più del 10% raccomandato”.
Un’altra criticità – sottolinea il professore – è legata ai “contaminanti che si formano durante i processi di raffinazione, ovvero quando l’olio viene trattato a una temperatura superiore ai 200 gradi”. Queste sostanze, però, “non sono intrinseche all’olio, ma si presentano durante questi processi”.
Ad ogni modo “l’industria alimentare sta affrontando questo problema e sta cercando di individuare processi di raffinazione che non producano questi contaminanti”, rassicura Silano.