Il nome di Bruno Humberto Damiani ritorna al centro dell’attenzione mediatica.
“Il brasiliano”, questo il soprannome attribuito al Damiani negli ambienti malavitosi del salernitano, in virtù delle sue origini in parte sudamericane e in parte italiane, nonché unico indagato per l’omicidio di Angelo Vassallo, il sindaco di Pollica ucciso in un agguato la sera del 5 settembre del 2010, fu condannato dal Tribunale di Vallo della Lucania a sei anni e undici mesi di reclusione in primo grado. In secondo grado la pena è stata ridotta drasticamente.
In questo processo Damiani e il fratello Stefano erano accusati di aver mosso pressioni e minacce contro Francesco Avallone, titolare – all’epoca dei fatti – di una piccola enoteca di Acciaroli e legato sentimentalmente, in passato, alla figlia di Angelo Vassallo. Una relazione finita poco dopo l’omicidio Vassallo.
Il sindaco di Pollica, durante l’estate del 2010, avrebbe confidato ad un amico di essersi accorto di “movimenti strani“ che avvenivano nell’enoteca e si sarebbe avvalso di persone insospettabili per verificare meglio la situazione. Il Damiani, infatti, è anche accusato di aver ceduto alcune bustine di droga ad Avallone.
Per impedire la testimonianza di quest’ultimo, i fratelli Damiani si avvalsero dell’appoggio di due conoscenti, Walter e Augusto Materazzi, residenti a San Mauro Cilento, nonchè titolari del ristorante, pizzeria, campeggio e stabilimento balneare “Marina Piccola” lungo la costa acciarolese. Anche per quest’ultimi il Gup De Filippis, un anno fa, ha disposto il rinvio a giudizio. Secondo gli investigatori, entrambi avrebbero tentato di impedire la testimonianza di Avallone nel processo che vede Humberto Damiani imputato per spaccio continuato di sostanze stupefacenti. Secondo le indagini, coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Salerno, i due fratelli sarebbero ricorsi a violenze e minacce per costringere il teste a non deporre. Lo stesso sindaco, allarmato dalla situazione, avvisò i genitori di un ragazzo che acquistava la droga dal genero invitandoli a “stare con gli occhi aperti”.
Durante la sua latitanza in Sudamerica, il brasiliano ha cercato, avvalendosi di familiari e conoscenti, di intimidire e minacciare i testimoni che lo accusavano di spaccio di sostanze stupefacenti nel Cilento. Le attenzioni della famiglia Damiani erano rivolte, in particolar modo, a Francesco Avallone che nell’estate del 2013 fu anche vittima di un’aggressione da parte di Stefano, il fratello del brasiliano. Con l’avvicinarsi dell’inizio del processo a Vallo della Lucania, Damiani ha reiterato dal carcere le minacce, allo scopo di intimidire il testimone. Tra l’altro, nel corso delle perquisizioni, nell’abitazione dei due incensurati sono state rinvenute alcune dosi di droga. La circostanza è stata immediatamente segnalata all’autorità giudiziaria per i provvedimenti del caso. Agli indagati è contestato l’aggravante dell’articolo 7 (metodo mafioso).
Intanto in procura, dopo un interrogatorio, Damiani avrebbe ammesso di aver avuto un battibecco con Vassallo. Un fatto innegabile, in quanto, nel corso di quella che fu l’ultima estate di Vassallo, tra i due intercorsero innumerevoli liti, a ridosso di uno dei locali più gettonati della movida cilentana, situato sul porto di Acciaroli e che fu inaugurato proprio quell’estate.
Tra i tavoli e i divanetti di quel chiassoso luogo di schiamazzi il Damiani individuò uno dei presidi più proliferi per smerciare droga. Uno spaccio che Vassallo non tollerava e che osteggiò duramente per tutta l’estate, seppure le sue plurime richieste di rafforzare la presenza di uomini in divisa nella zona di Acciaroli, inoltrate direttamente alla questura di Salerno, non furono mai ascoltate. Vassallo si scagliò, dunque, da solo e duramente contro il Damiani. Più di una volta. Liti che spesso sfociavano in urla, tra i due volavano parole pesanti. In più di un’occasione il Damiani arrivò anche a minacciare di morte il sindaco Vassallo. Scene forti, di quelle che attirano l’attenzione dei passanti e dei presenti, il Damiani non poteva continuare a lungo a sostenere di non aver mai conosciuto il sindaco-pescatore, seppure continui a dichiararsi innocente in merito ad un suo ipotetico coinvolgimento nell’agguato in cui Vassallo ha perso la vita.
Un altro aspetto certo è che il Damiani quell’estate ha sfidato più volte Vassallo e non solo quando si parava tra lui e gli avventori ai quali si accingeva a vendere la droga.
Per tutta l’estate del 2010, il brasiliano, che era tornato ad Acciaroli dopo diversi anni d’assenza in virtù della pena scontata in carcere per una rapina in un supermercato di Salerno, era solito girare per le strade del piccolo borgo cilentano a bordo di una moto di grossa cilindrata, rigorosamente senza casco e transitava anche nelle aree pedonali, sprezzante della presenza delle videocamere di sorveglianza.
A viso scoperto, perché tutti dovevano vedere che lui non piegava la testa dinanzi alle regole di Vassallo.
Un atteggiamento sprezzante ed irriverente finalizzato a rivendicare la sua egemonia su quel territorio.
Il Damiani non era un camorrista, ma un bullo, rissoso e violento, quasi ossessionato dal desiderio di “contare qualcosa”. Una sorta di “riscatto”, quello inseguito dal Damiani lungo le coste cilentane durante l’estate del 2010, dopo gli anni bui trascorsi in carcere.
Come spesso accade, anche nel caso del Damiani, la detenzione lo ha incattivito e ha consolidato ed amplificato una predisposizione alla violenza pregressa all’esperienza carceraria.
Il brasiliano, già da adolescente, era un “picchiatore”: nonostante disponesse di un discreto talento calcistico che lo aveva portato perfino a maturare un’esperienza nel settore giovanile della Juventus, la storia di Bruno è quella nella quale possono specchiarsi molti altri ragazzi che, come lui, si sono persi tra le briglie della criminalità.
Spaccio di droga e risse: così trascorreva le sere d’estate il giovane Damiani. Memorabile il contenzioso insorto con un giovane di Battipaglia che giunse in auto sul molo di Acciaroli per regolare i conti con il brasiliano che letteralmente gli “volò addosso”, allorché, con un balzo di diversi metri, dalla banchina superiore del molo, gli franò direttamente nel vetro anteriore della vettura, mandandolo in frantumi e provocando notevoli lesioni al suo rivale.
Una scena surreale, da film d’azione, che ben immortala la follia, cieca e violenta, del brasiliano.
Il Damiani, a dispetto degli occhi di ghiaccio e dell’aspetto piacente, era un indiavolato.
Picchiava, Bruno, picchiava forte. Fino alla stregua delle sue forze. Innumerevoli le risse consumatesi alla fine degli anni ’90 e l’inizio del terzo millennio sulle piste da ballo delle discoteche cult della movida cilentana, dove il brasiliano era una presenza fissa, puntualmente pronto a spacciare pasticche e cocaina. Anche durante l’estate del 2010 fu protagonista di una violenta rissa in una nota discoteca di Palinuro, durante i giorni di ferragosto. Accoltellato più volte, come lui stesso raccontava con fierezza, nonostante vedesse zampillare il sangue dalle ferite, continuava a picchiare, come se fosse assuefatto da una sorta di famelico livore di violenza.
Quella stessa estate, mise ko un turista straniero che, dopo aver alzato un po’ il gomito, se ne andava in giro barcollando lungo i vicoli del centro storico acciarolese. Inavvertitamente franò addosso al Damiani che di tutta risposta gli sferrò un violentissimo pugno in pieno volto. Per rianimare l’uomo fu necessario allertare il 118. Anche di quell’episodio si faceva vanto, lo raccontava con orgoglio, come il più nobile dei biglietti da visita da esibire.
Il Damiani amava sentirsi forte ed apparire forte agli occhi degli altri. Non nascondeva la sua voglia di fare a pugni, bensì la esibiva con orgoglio.
Un rissoso, un picchiatore, un bullo cresciuto prendendo a pugni la vita. La violenza come arma di riscatto, quindi, un mezzo sicuro del quale avvalersi per ottenere i propri scopi, per essere temuto e rispettato.
Fino a che punto può essersi spinto il brasiliano, traghettato da un indole indiscutibilmente violenta?
Di certo, il primo aspetto sul quale riflettere è questo: perché il Damiani avrebbe dovuto uccidere Vassallo, alla fine di un’estate, in cui, tutto sommato era riuscito a racimolare un bel gruzzoletto?
Il suo lavoro di spacciatore lungo le coste cilentana era terminato e si era rivelato anche piuttosto prolifero. Certo, Vassallo si era opposto, gli aveva dato filo da torcere, ma, di fatto, non era riuscito a metter fine al suo business lungo le coste cilentane, meno che mai ad Acciaroli. Perché ucciderlo, se disponeva del tempo necessario per studiare una strategia per salvaguardare i suoi affari in quella sede, in vista della prossima estate.
E, soprattutto, in virtù della sua indole violenta e del desiderio di rivendicare la sua egemonia su quel territorio, verrebbe più facile attribuirgli una “lezione” di tutt’altra matrice: una scazzottata, un’aggressione fisica violenta, ma non di certo un omicidio. Se avesse posseduto un’arma, invasati com’era, il brasiliano l’avrebbe esibita per vantarsi, per intimorire, per terrorizzare. Anche solo per appagare quel folle delirio d’onnipotenza che lo indiavolava.
Seppure, sia stato provato che, in compagnia di due albergatori del posto, il giorno prima dell’omicidio, il brasiliano abbia partecipato ad un summit di camorra tenutosi a Secondigliano, quartiere ben noto al Damiani che disponeva di agganci non solo nella zona del salernitano: l’omicidio Vassallo può essere scaturito da un accordo stretto tra le parti, nell’ambito di quel meeting?
Di certo, l’inquinamento della scena del crimine, ha compromesso forse in maniera irrecuperabile le indagini.
Mentre, proprio in virtù della scellerata condotta adottata dal Damiani lungo le strade di Acciaroli, in sella alla sua imponente moto, per far luce su un effettivo coinvolgimento del pusher numero uno della costa cilentana, un ruolo cruciale lo avrebbero assunto le immagini del sistema di video sorveglianza che sono state immediatamente acquisite dagli inquirenti e delle quali, poi, si è persa completamente traccia.
Attualmente, quindi, il Damiani resta in carcere per aver commesso altri reati, in primis, estorsioni ad alcuni commercianti del salernitano, ma non vi è alcuna prova schiacciante che lo riconduca all’omicidio Vassallo, l’esito negativo dello stub test, tra le tante. Eppure il suo nome, tutt’oggi, è l’unico iscritto nel registro degli indagati.
A distanza di quasi 7 anni dall’omicidio Vassallo, i nomi dell’esecutore materiale, dei mandanti e il movente, non sono ancora noti agli inquirenti.