La mattina del 30 gennaio 2002, alle ore 8.28, il centralino valdostano del 118 ricevette una telefonata dalla frazione Montroz di Cogne, nella quale una donna di nome Annamaria Franzoni chiedeva concitatamente l’intervento del soccorso sanitario, affermando di aver appena rinvenuto il figlio di tre anni, Samuele Lorenzi, nel proprio letto matrimoniale e che questi “vomitava sangue”.
La Franzoni, alle ore 8.27, avvisò anche il medico di famiglia, Ada Satragni, che intervenuta per prima, ipotizzò un’improbabile causa naturale, un aneurisma cerebrale, insistendo per diverso tempo su questa versione e confermandola in una intervista televisiva, nel corso della quale giunse persino ad affermare che il pianto disperato del bambino scopertosi solo in casa avrebbe potuto provocare “l’apertura della testa”.
Il bambino presentava una profonda e frastagliata ferita sul capo, dalla quale usciva della materia grigia e che vistosamente era stata procurata da un’azione violenta. La dottoressa inoltre lavò il volto e il capo del piccolo e lo spostò fuori casa – nonostante il freddo intenso – su una barella improvvisata con un cuscino. Tali gesti, certamente motivati dalle urgenti manovre di rianimazione, hanno tuttavia alterato irreparabilmente la scena del delitto e le stesse condizioni della vittima. Per altro l’ipotesi dell’aneurisma, come quella delle convulsioni e il fatto che potesse aver battuto ripetutamente contro uno spigolo, o una rianimazione troppo violenta, torneranno, nel corso degli anni, nelle ipotesi avanzate da diversi medici, senza che siano però prese sul serio.
Ai soccorritori del 118 sopraggiunti in elicottero, anche per via dello stato dei luoghi, apparve subito chiaro che le devastanti ferite sul capo del bambino erano frutto di un deliberato atto di violenza. Vennero perciò avvisati i carabinieri, che compirono poi i primi sopralluoghi nella villetta.
Il piccolo fu dichiarato morto alle ore 9.55. L’esame autoptico rivelò come causa reale del decesso una serie di colpi – almeno diciassette – sferratigli alla testa da un’arma contundente. Sul capo della piccola vittima furono rinvenute microtracce di rame, le quali suggerivano che il bambino fosse stato colpito da un oggetto realizzato con questo metallo, come ad esempio un mestolo ornamentale. Furono inoltre rinvenute lievi ferite sulle mani, riconducibili probabilmente a un estremo e disperato tentativo di difesa.
Quaranta giorni dopo il delitto, la madre del piccolo Samuele, Annamaria Franzoni fu iscritta nel registro degli indagati con l’accusa di omicidio. Arrestata il 14 marzo 2002, con l’accusa di omicidio volontario aggravato dal vincolo di parentela, ma il Tribunale del Riesame di Bologna, il 30 marzo, ordina la sua scarcerazione per carenza di indizi.
Al termine del processo di primo grado, nel 2004, la Franzoni fu condannata con rito abbreviato alla pena di 30 anni di reclusione (ossia ergastolo nel caso non avesse scelto il rito abbreviato). La colpevolezza venne poi ribadita nel processo d’appello, conclusosi il 27 aprile 2007 con una sentenza che ne ridusse la pena a 16 anni; ciò grazie alla concessione delle attenuanti generiche, che furono ritenute equivalenti all’aggravante della commissione del fatto nei confronti del proprio discendente.
I legali della Franzoni proposero quindi ricorso in Cassazione; in attesa del pronunciamento la donna rimase libera: i giudici esclusero la sussistenza di esigenze cautelari (pericolo di fuga, di inquinamento delle prove, di reiterazione del reato).
Il delitto di Cogne è stato tra i primi casi seguiti con incessante attenzione dai media, le apparizioni televisive della Franzoni furono innumerevoli, sia sulle poltrone di “Porta a Porta” che al “Maurizio Costanzo Show”.
Sei giorni dopo il delitto, alle 17.57, Annamaria Franzoni è in macchina con il marito Stefano Lorenzi, una cimice nascosta dai carabinieri di Aosta sul Pajero Mitsubishi dei Lorenzi cattura la conversazione tra marito e moglie. E la moglie, a un certo punto, racconta al marito quello che, secondo lei, era accaduto nella camera da letto in cui dormiva Samuele la mattina del delitto. Annamaria Franzoni dice di sapere chi ha ucciso il piccolo Sammy, la donna punta il dito contro la vicina di casa Daniela Ferrod. In realtà, la Franzoni non fa altro che trasferire sulla vicina di casa quanto in realtà commesso da lei stessa.
«Io l’ho vista quando è arrabbiata, con quegli occhi proprio da cattiva, da strega, e un attimo dopo è una persona quasi normale .. io ti dico la scena che io mi sento: che lei è entrata subito dopo che io sono uscita, di corsa, come una iena, ha guardato sul divano, perché c’era la tv accesa. È corsa di sotto con una rabbia allucinante .. nella camera non l’ha trovato .. Samuele era su nel letto, lei ha cominciato a dirgli qualcosa, lui intanto s’è spaventato e lei ha cominciato a colpirlo, finché non le ha visto tutto il sangue ..» .
“Meccanismo di scissione negazione-identificazione proiettiva”: questo il meccanismo che ha innescato il racconto del delitto fornito da Annamaria Franzoni al marito Stefano Lorenzi e proiettato sulla vicina di casa Daniela Ferrod.
Quel racconto è la prova che Annamaria ha perfettamente fotografato la scena del delitto, dal momento che ha fornito al marito dettagli e particolari e ricostruisce per filo e per segno lo svolgimento dei fatti. «Solo la mamma ricompone il corpo del bambino e poi lo copre dopo averlo ucciso. Inoltre, la Franzoni ha colpito la testa perché quella testa, grande e calda, era il suo incubo. Samuele era un bellissimo bambino, ma la mamma lo portava spesso dal medico»: spiegano gli esperti in materia. La Franzoni ha ucciso e lo ha fatto in maniera lucida e ordinata.
Perché ha ucciso suo figlio di appena tre anni?
Già dopo il delitto, nessuno ha una parola di pietà per Samuele. Si registra una freddezza impressionante, nelle conversazioni telefoniche intercettate dai carabinieri, si parla solo di funerali e giornalisti. Samuele non esiste più, è già dimenticato. Samuele rappresentava un prodotto fatto male. Tant’è che la Franzoni avrebbe detto al marito “facciamo un altro figlio”.
Annamaria Franzoni, in questi anni, ha versato lacrime senza mai piangere. Versa lacrime a comando. Non c’è dolore in lei, non c’è sofferenza.