La presenza della criminalità nel comparto agricolo sta infettando il settore di maggiore tradizione, uno dei principali tratti distintivi del nostro Paese. Il primo Rapporto annuale sulle Agromafie, realizzato dall’Eurispes, in collaborazione con Coldiretti, accende i riflettori su un insospettabile mercato del falso, sull’italian sounding e sull’infiltrazione criminale nell’acquisto di terreni, coltivazione di materie prime, trasformazione e distribuzione.
La Direzione Investigativa Antimafia, in una delle sue ultime relazioni, mostra come le associazioni mafiose in generale tendano ad approfondire maggiormente la loro azione di infiltrazione e di penetrazione nel mondo imprenditoriale e nell’economia legale: in particolare, l’analisi investigativa evidenzia gli interessi criminali «nel settore agroalimentare e nella correlativa logistica dei trasporti, nelle energie rinnovabili», dimostrando quella capacità di modernizzazione e di visione dello sviluppo tecnologico e delle trasformazioni economiche.
Le mafie stanno imparando a diversificare e ramificare in diverse regioni e perfino nazioni, i loro interessi. In agricoltura, i principali reati che sono stati attribuiti alle associazioni mafiose variano dai comuni furti di attrezzature e mezzi agricoli all’abigeato, dalle macellazioni clandestine al danneggiamento delle colture, dall’usura al racket estorsivo, dall’abusivismo edilizio al saccheggio del patrimonio boschivo, per finire al caporalato e alle truffe, consumate, a danno dell’Unione europea.
Eppure, non è abbastanza: le mafie hanno alzato il tiro ed affinato il metodo.
Le agromafie insistono nei territori meridionali a produrre le loro attività illecite, ricercando un forte alimento nelle difficoltà in cui si trovano le imprese agricole sempre più esposte agli effetti devastanti della scarsa disponibilità di soddisfacenti risorse finanziarie. Così accade che le possibilità di investimento nelle campagne decrescono miseramente e nello stesso tempo l’accesso al credito bancario risulta essere difficoltoso anche per il costo molto elevato del denaro. Il bisogno di credito immediato spinge inevitabilmente gli imprenditori agricoli a trovare nuove forme di finanziamento: l’usura e il racket sono, come è noto, le attività illecite da sempre controllate dalle cosche mafiose. Inoltre, come denunciato dalla Coldiretti, le associazioni criminali, attraverso le suddette pratiche estorsive, finiscono per determinare l’aumento dei prezzi dei beni al consumo. Così la mafia riconsolida il proprio ruolo di industria della protezione-estorsione che aveva, fin dalle origini, assumendo di fatto il controllo politico ed economico dell’impresa e dell’imprenditore. La progressiva diffusione delle agromafie si traduce in una perdita di sicurezza sociale del cittadino e di un impoverimento dell’economia dei territori.
Un business silenzioso e prolifero che, di recente, appare una “scelta obbligata”.
Le organizzazioni criminali sono state sensibilmente rimaneggiate dalle recenti inchieste che hanno prodotto arresti eccellenti, sceglie un comportamento di tregua che possa, fra l’altro, far scendere su di sé un cono d’ombra, per poter rendere meno individuabile la sua organizzazione.
Le agromafie investono i loro ricchi proventi in larga parte in attività agricole, nel settore commerciale e nella grande distribuzione. Come indicato dalle analisi della Dia, nel territorio campano, i clan camorristici investono i capitali illeciti acquistando aziende agrarie, vasti appezzamenti di terreno e diversi caseifici. In Campania, il fenomeno delle agromafie s’intreccia con altre tipologie di reato proprie dei clan camorristici: lo smaltimento illegale dei rifiuti e il conseguente inquinamento dei terreni e delle falde acquifere.
L’azione criminale contro gli agricoltori si esercita attraverso i continui incendi dolosi, i furti di attrezzature agricole e di bestiame, le intimidazioni e le minacce. Inoltre, la Camorra detiene in esclusiva il monopolio sul controllo della manodopera extracomunitaria, impiegata prevalentemente nella raccolta del pomodoro. Il Rapporto investigativo già citato della Dia segnala, in particolare, il coinvolgimento delle cosche mafiose nella gestione degli affari del mercato ortofrutticolo di Fondi in provincia di Latina, il cui potenziale commerciale è tra i primi in Europa. Inoltre, indagini più recenti confermano penetrazioni dell’agrocrimine camorrista in altre regioni italiane, come ad esempio l’Umbria. In Sicilia una importante e delicata inchiesta è stata avviata ad analizzare le infiltrazioni di Cosa Nostra nel grande mercato ortofrutticolo di Vittoria, in provincia di Ragusa.
Un altro filone in cui l’agrocrimine si manifesta è quello della contraffazione dei marchi e degli imballaggi di vendita dei prodotti agricoli. È così che sulle nostre tavole finiscono prodotti che vengono spacciati per italiani, mentre, invece, si tratta di frutta e verdura, ingannevolmente spacciate come Made in Italy, proveniente dall’estero, in particolare dal Nord Africa.
Piccoli e grandi produttori di prodotti alimentari a marchio Made in Italy, venduti sul nostro come in altri mercati, acquistino le materie prime per la lavorazione dei prodotti stessi all’estero, spesso in paesi in cui la qualità e le garanzie a tutela della salute del consumatore sono decisamente inferiori a quelle stabilite nel nostro. In molti casi si tratta di realtà imprenditoriali che hanno acquisito – grazie alla loro dislocazione in territori votati alla produzione di una specifica varietà di alimenti ma anche grazie alla forte “identità italiana” espressa da un brand consolidato e riconosciuto – una credibilità presso il pubblico tale da non destare alcun sospetto.
Le agromafie rappresentano un danno molto serio all’economia agricola dei territori, mettono in crisi qualunque idea di sviluppo possibile, indeboliscono il valore imprenditoriale della competizione leale e dell’agire socialmente utile. La criminalità organizzata pone sé stessa come unico centro di guadagno e di arricchimento utilizzando il diffuso bisogno di lavoro per riprodurre vecchie e nuove servitù.
Traffico di stupefacenti, appalti ma anche agroalimentare: la camorra sta spostando le sue mire anche in questo settore dell’economia.
Un business che nel 2015 avrebbe superato i 16 miliardi di euro come evidenziano i dati con tenuti nel quarto “Rapporto sui crimini agroalimentari” di Eurispes, Coldiretti e Osservatorio sulla criminalità, citato dalla Direzione investigativa antimafia.
Le cosiddette “agromafie” tenderebbero a “fare cartello” per agire sull’intera filiera. Si accaparrano i terreni, diventano intermediari nella vendita dei prodotti, si occupano del trasporto, dello stoccaggio e reinvestono i capitali illeciti in centri commerciali.
Tra i gruppi malavitosi più attivi figurano il clan Lo Russo e Moccia che si stanno espandendo anche all’estero, in particolare sul mercato ortofrutticolo di Barcellona.