Natale è la festa per antonomasia in cui “si è tutti più buoni”, giorni in cui s’inneggia alla solidarietà, alla pace, ai sentimenti genuini e positivi, a prescindere dalla condotta prettamente adoperata durante l’anno. Una ricorrenza ricca di tradizioni e magia, ma estremamente malinconica, per chi si vede costretto a sedere a tavola e scartare regali senza poter condividere abbracci e sorrisi con i propri cari.
Giorni in cui l’ostentazione del lusso e della mancanza dei cari “ingiustamente detenuti” o caduti sotto una crivellata di colpi d’arma da fuoco, innesca un complesso mix di emozioni che soprattutto i più giovani faticano ad indirizzare lungo i binari del buon senso.
Mentre i gregari e le figure di spicco dei clan, si avvalgono dei social per rendere tangibile il lussurioso stile di vita che può assicurarsi chi serve la criminalità organizzata, pubblicando foto di ostriche, champagne, pietanze succulente e costosissimi regali, tra i profili social dei più giovani, invece, impazzano soprattutto i messaggi dedicati ai detenuti.
“A me basta sapere che state voi bene lì dentro e il lo sarò anche io qui fuori. Sono qui ad aspettare la vostra libertà”; “al pensiero che stasera non ci sarai a casa mi fa veramente impazzire, farei mille pazzie per portarti via con me, per non farti festeggiare queste feste qui dentro… senza di te sarà difficile amore mio, ma come mi haiscritto tu nelle lettere, la galera te la mangi e tornerai subito qui vicino a noi. Purtroppo solo un foglio e una penna ci fanno stare più vicini, un’ora a settimana ci fa stare meglio ed essere più forti e come tu sai, con i soldi non si compra la libertà, dobbiamo solo aspettare e vedrai amore mio che finirà tutto questo. Torneremo più forti di prima”: parlano così le figlie dei detenuti, alternando alle parole emoticon c’è raffigurano catene, un simbolo adottato per rappresentare la carcerazione, m anche cuori e siringhe, emblema di un legame indissolubile, perché il sangue non si rinnega.
“Tanti auguri fratelli, spero che arriva presto quel giorno per festeggiare il Natale insieme, purtroppo la vita ti ha messo a dura prova e tu per il tuo carattere, il tuo carisma e per i principi che la tua famiglia ti ha dato sei un leone e sai affrontare tutti i problemi e per l’età che tieni sei un leone… ti amo di bene, a noi ci separa solamente la distanza, perché stai rinchiuso ma con il cuore sempre vicino, spero ancora per poco e che uscirai presto per stare insieme. Auguri fratelli”: il pensiero dei ragazzi vola ai coetanei detenuti, giovani vite, probabilmente sottratte alla morte dalla carcerazione che, tuttavia, continua ad essere vista, vissuta e raccontata come una “palestra” necessaria per temprare il carattere e consolidare la forza d’animo. Giovani martiri al patibolo che stoicamente patiscono la pena inferta e che hanno il dovere di lottare, senza perdere di vista l’obiettivo da perseguire. Il carcere diventa un incidente di percorso, da divorare in fretta e senza piagnistei, per tornare a riappropriarsi di un posto ancor più temibile e di rilievo, all’interno della scena criminale, perché la pena scontata in carcere impone rispetto e non redenzione. Non si conquista la libertà dopo aver patito a lungo le pene dell’inferno, per ritagliarsi una nuova vita, lontana dalle pistole e dalla pratica di attività illecite per procacciare denaro e potere. Non è questo ciò che si aspettano amici e parenti che non desiderano altro che “portare in gloria” l’ennesimo “martire dello Stato” che riscatti l’ingiustizia subita rivendicando l’egemonia “dell’altro Stato”.
“Non è che odio il Natale, è che pesano quei posti in meno a tavola senza di noi… Buon Natale anche a voi, lontani da noi…”: a seguire, una carrellata di foto di parenti detenuti o uccisi dai clan rivali. Delle sedie vacanti che dovrebbero consegnare un insegnamento severo, un forte, assordante monito a cambiare strada, per lasciarsi ispirare da un credo meno distruttivo e più rispettoso della vita umana.
“Agli infami il peggio male, ai detenuti buon Natale“ e “Auguri Felici… a chi non tradisce gli amici”: queste le due frasi sfoggiate dai giovani seguaci della malavita ponticellese, nelle ore successive all’agguato in cui ha perso la vita il ras Salvatore Solla, lo scorso 23 dicembre.
“Tore ‘o sadico, secondo i giovani follower della camorra, infatti, sarebbe stato vittima di un “agguato a tradimento”, motivo per il quale, l’imminente Natale ha fornito un prezioso assist che rende legittimo il desiderio di augurare il peggio agli infami e ai traditori.
Anche il Natale, visto e vissuto con gli occhi e il cuore di chi serve le leggi dell’”altro Stato”, assume tutt’altra connotazione rispetto alla più diffusa tradizione che impone pace, amore e fratellanza.