Si aggrava il bilancio dell’agguato avvenuto nel primo pomeriggio di ieri, 23 dicembre. È morto in ospedale Totore ‘o Sadico alias Salvatore Solla, ras di Ponticelli, raggiunto da diversi colpi di pistola al torace.
Stando alle prime ricostruzioni, Salvatore Solla e Giovanni Ardu – l’altra vittima dell’agguato, ferita alle gambe – erano a bordo dell’auto di Solla nel Lotto O di Ponticelli, quando i killer, a bordo di un’altra vettura, lo hanno affiancato e hanno aperto il fuoco.
È successo tutto troppo velocemente: Solla, quando è stato raggiunto dai killer, sostava accanto a un conoscente con il quale stava scambiando qualche parola e non ha fatto in tempo a mettere in moto l’auto per tentare quantomeno una fuga. I soccorritori lo hanno trovato accasciato sul volante, in un lago di sangue.
Trasportato all’ospedale villa Betania di Ponticelli è deceduto poche ore dopo il ricovero. Troppo gravi le ferite riportate.
Solla era una figura tutt’altro che marginale del clan De Luca Bossa e la sua morte è un dettaglio tutt’altro che di poco conto.
Fin dagli attimi immediatamente successivi agli spari è calato un silenzio tombale tra le abitazioni del rione. E non di certo in forma di commemorazione e rispetto nei riguardi del ras deceduto che godeva di una fama tutt’altro che meritevole di stima.
Un silenzio che è diventato inquietante al calar del sole e con l’avanzare del buio, perché squarciato da urla violente che provenivano dell’appartamento più osservato del Lotto O: quello dei De Luca Bossa, comprensibilmente intimoriti dal raid messo a segno nelle ore precedenti, perché sottolinea in maniera inequivocabile che sul capo di ciascuno di loro pende una condanna a morte.
Urla e trambusto che hanno animato un litigio molto acceso che racconta la paura “violenta” della camorra, in opposizione a quella silenziosa della gente comune.
I De Luca Bossa sono davanti a un bivio: restare, sfidando il concreto pericolo di andare incontro alla morte, per cercare protezione ed appoggi tra gli altri clan della zona o anche fuori dal contesto della periferia orientale di Napoli, per tentare una tanto difficile quanto improbabile risalita al potere, oppure, darsi alla fuga, rinnegare “l’onore” che impone di servire la famiglia e il clan fino alla fine, pur di salvarsi la vita e lasciare il rione che da decenni rappresenta la loro roccaforte nelle mani dei De Micco, deponendo le armi.
Al centro della lite insorta nel cuore della notte, vi è proprio questo aspetto: le donne, le madri del clan che impongono prudenza ai giovani rampolli, questi ultimi, invece, come tutti i giovani boss e aspiranti tali dell’era contemporanea, vorrebbero esorcizzare la paura della morte, sfidandola.
Una costante che si ripete, un destino che puntualmente frana nelle giovani vite di chi decide di vivere una vita da boss: Emanuele Sibillo, ucciso perché lasciò il bunker in cui si era rifugiato per recarsi in via Oronzio Costa, nonostante sapesse di andare incontro a una morte certa; Raffaele Cepparulo, ucciso proprio in un circolo ricreativo del Lotto O di Ponticelli, – dov’era rintanato per effetto della protezione che gli avevano offerto i De Luca Bossa – a poche ore di distanza da una stesa che aveva messo a segno nel Rione Sanità per rivendicare “la presenza” dei Barbudos.
Una lista che potrebbe protrarsi all’infinito e che, a quanto pare, è destinata a rimanere in continuo aggiramento, perché quando un giovane sceglie di lasciarsi ispirare dalle regole della camorra, pensa d’essere destinato a vestire gli abiti del potere incontrastato e continua a credere di poter ribaltare il tavolo, anche quando già avverte l’abbraccio dell’angelo della morte, stretto intorno all’anima.