All’omicidio di Gianluca Cimminiello è affrancato un movente che ben spiega quanti e quali retroscena assurdi si celano puntualmente dietro la morte di una vittima innocente della criminalità.
Era il 2 febbraio 2010 quando il tatuatore 31enne venne freddato proprio nel suo studio “Zendark tattoo”, sulla Circumvallazione esterna, nel tratto di Casavatore.
Ucciso dalla camorra per una foto postata sui social e che lo ritraeva insieme al pocho Lavezzi, l’attaccante argentino ex giocatore del Napoli che negli anni trascorsi all’ombra del Vesuvio ha detto legge in materia di mode giovanili.
Erano gli anni in cui i calciatori azzurri trascorreranno gran parte del loro tempo libero negli studi dei tatuatori per farsi adornare le braccia e altri parti del corpo con disegni e simboli che venivano puntualmente ripresi ed imitati dai giovani supporters azzurri. Pertanto, potersi vantare del fatto di aver “marchiato” uno degli idoli dei giovani napoletani voleva dire ipotecare il proprio futuro accaparrandosi una sicura e nutrita fetta di clienti.
In assoluta buona fede e con l’astuzia che contraddistingue l’intraprendenza dei giovani e volenterosi imprenditori, Gianluca pubblicò sul suo profilo di Facebook un fotomontaggio che lo ritraeva con Lavezzi. Mai avrebbe pensato che questo avrebbe sancito la sua condanna a morte per mano della camorra.
Quella foto indispettì Vincenzo Donniacuo, detto “il cubano”, un tatuatore di Melito, che si rivolse direttamente al clan egemone sul territorio per sanare l’affronto subito da Cimminiello.
Dopo la pubblicazione della foto, Gianluca ebbe decine di e-mail da parte dei clienti, tra i quali vi era un messaggio inviatogli proprio da Donniacuo, questi scrisse che Lavezzi lo doveva tatuare lui e nessun altro e poi chiuse con un «sabato passo nel tuo negozio». Quel sabato, invece, nel negozio di Gianluca, si presentarono tre persone. Ben presto la discussione degenerò e in due aggredirono Gianluca che, da navigato esperto di arti marziali, non ebbe problemi a difendersi e, anzi, costrinse i tre a mettersi in fuga.
Tre giorni dopo, un giovane si presentò davanti al negozio di Gianluca e iniziò a chiamarlo per nome. Non appena Cimminiello arrivò sulla soglia del locale, viene colpito mortalmente prima alla spalla e poi al torace. Il killer sparò ancora due volte. Per essere sicuro di aver ucciso. Il killer di Gianluca è Vincenzo Russo, 29 anni, pregiudicato di Melito ritenuto affiliato al clan degli scissionisti, è accusato di omicidio con l’aggravante di aver «agito con metodi mafiosi al fine di agevolare le attività dell’associazione camorristica facente capo a Cesare Pagano». Un omicidio per il quale, oggi, Vincenzo Russo, l’esecutore materiale dell’agguato è stato condannato all’ergastolo.
I capoclan Arcangelo Abete e Raffaele Aprea, esponenti del gruppo Abete-Notturno-Aprea dell’ala degli Scissionisti organizzarono l’omicidio del giovane e sono stimati essere, rispettivamente, mandante e organizzatore dell’agguato. Testimonianza fondamentale nel processo, quella di Anna, la fidanzata di Gianluca, presente durante i fatti.