La camorra non è una Bibbia universale, bensì un mostro senza anima né volto che assume connotazioni specifiche e diverse, in base al contesto in cui attecchisce.
La camorra del Rione Sanità esibisce caratteristiche diverse da quella che vige a Napoli Nord e ambedue differiscono da quella che troneggia su Forcella o Soccavo. Quella che tiene banco tra le mura di Ponticelli, cambia indole e pelle da Rione a Rione.
Questa la premessa imprescindibile dalla quale partire per provare a guardare la vita e il mondo con gli occhi di Mariano Abbagnara, “il divo” di “Robinù” e di tutti i ragazzi forgiati a immagine e somiglianza di quel credo, in virtù del quale la vita è una perenne roulette russa dove vince solo chi ha il coraggio di premere il grilletto, anche se questo vuol dire spappolarsi il cervello, invece che spappolarlo al rivale.
Per capire cosa porta quei ragazzi a diventare dei “Robinù” è necessario passeggiare lungo i marciapiedi disconnessi del Rione Conocal di Ponticelli, dove il sole entra di sbieco, per farsi spazio tra i relitti dei palazzoni grigi e, anche quando ci riesce, finisce col farsi incupire dal degrado che primeggia, dentro e fuori i cumuli di cemento, le strade e le anime che li abitano. Vicino, eppur isolato “dal centro”, della città e del quartiere, è impossibile uscire dal rione a piedi. Entrambe le strade che fiancheggiano il Conocal, accolgono due fermate dell’autobus: anche la rabbia e la frustrazione accumulate durante l’attesa di un bus che può non arrivare mai, portano quei giovani a sviluppare quel pericoloso desiderio di rivalsa che si fonde al livore di evadere dal vuoto esistenziale e materiale che regna nel rione.
Il Conocal è soprattutto uno dei luoghi-simbolo della camorra ponticellese e per decenni, in seguito al declino del clan Sarno, ha funto da roccaforte del clan D’Amico, quello capeggiato da Tonino Fraulella, motivo per il quale quel soprannome tatuato sul corpo era ed è sinonimo di affiliazione, al pari delle emoticon, ovvero, la simbologia virtuale della quale si avvale la nuova generazione per comunicare: una fragola, le siringhe, le bombe, le pistole, i cuori. Una combinazione di oggetti che sembra dare luogo a un rebus apparentemente insensato e che, invece, personifica la forma più evoluta del linguaggio criminale.
La camorra ha imparato a parlare con il linguaggio dei giovani, per arrivare dritto al cuore e ai neuroni dei giovani, e non perché in cabina di regia ci sono i “baby-boss”, almeno nel Rione Conocal, i giovani non hanno mai smesso di essere gregari alle direttive dei boss più navigati, anche ora che sono tutti tumulati in una bara o dietro le sbarre di una cella.
Il desiderio di conferire una connotazione “positiva” a quella realtà grigia e appiattita, incapace di fornire attrattive ed alternative, l’esempio conferito dai “grandi” e, soprattutto, il bisogno di appagare la voglia di evadere che impone di procurarsi denaro: questo mix di fatti, luoghi e stati d’animo porta quei ragazzi a diventare dei “Robinù”. Bambini che diventano uomini bruciando la tappa dell’adolescenza, imparando a maneggiare le pistole e sviluppando una naturale dimestichezza con la droga, in tutte le sue forme, fin dai primi passi.
Guadagnare soldi per trasformare, almeno all’interno, quelle case fatiscenti in regge sfarzose dotate di tutti i confort, ma anche per riscattarsi agli occhi di quel bus che non è mai arrivato, mandando in barba appuntamenti con le ragazze e partite di calcio, comprando uno scooter di grossa cilindrata o un’auto superaccessoriata. Gli abiti griffati, gli orologi possenti, le collane d’oro massiccio bardate di crocifissi prodigiosi, le scarpe all’ultima moda, la bella vita: il benessere va ostentato per dimostrare che quella scelta è vincente. “Quella scelta” si chiama camorra ed è l’unica forma di lavoro retribuito alla quale quei ragazzi mirano e intorno alla quale ruotano le loro ambizioni: i loro master si chiamano “imbasciate” e “bussate di porta”, la loro palestra sono le “stese”, gli omicidi fanno curriculum e gestire le piazze di spaccio, partendo dal mero ruolo del palo, fino ad ambire alla conquista della bandierina del “capo”, rappresenta la gavetta più efficace per farsi le ossa, unitamente alle rapine e alle malavitose gesta utili a dimostrare di possedere gli attributi.
Mariano, “faccia janca”, rappresenta il baluardo di uno stralcio generazionale ben definito e che incarna un nuovo concept camorristico: ragazzi prettamente “orfani”, in quanto la camorra ha provveduto a privarli del padre, ucciso in un agguato o detenuto in carcere, ma non da pentito. Questa è una precisazione fondamentale per comprendere in quale direzione si orienta questo nuovo trend che traghetta i giovani verso un’ideologia sempre più cinica e anaffettiva. Uomini d’onore che non rinnegano il sistema, ma si sobbarcano la pena per intero, anche se questo li condanna al carcere a vita, quindi si rifugiano nella “dissociazione” o in strategie legali similari che mirano alle riduzioni di pena, seppur non mostrino alcun segno di pentimento. La camorra non si condanna, anche se ti condanna: questo è il segnale di masochistica resistenza lanciato dalle carceri e raccolto in eredità da quei giovani. “O cadi e sprofondi o sali e sfondi”, “vivo di notte perché mi hanno detto che un giorno morirò”, “se devi vivere in ginocchio alzati e muori”, “cresciuto in mezzo ai guai, abituato a non mollare mai”, “frequentare pregiudicati non è reato, frequentare un infame è peccato”: questo il credo che porta i “Robinù” della camorra ad esprimersi in questi termini.
Leoni in gabbia, martiri senza colpa temporaneamente costretti a vivere costipati nel lerciume di una cella: vengono descritti così i camorristi in carcere dai loro fedelissimi baby-adepti che ne sognano il ritorno per “far tremare” i clan rivali e le mura del quartiere ed ambire alla conquista dell’impero del male. Sangue, vendetta, crudeltà e cinismo: questi i sentimenti che infarinano quei cuori che battono forte, sotto la pulsante spinta di droghe sempre più sintetiche e cerebralmente devastanti, per sostenere quell’impetuosa corsa contro il vento, sfidando la sorte e la morte, correndo a tutto gas, sulla sola ruota posteriore, lungo le strade del rione che, cavalcato in sella agli scooter di grossa cilindrata, diventa “un piccolo, grande regno”.
Una generazione di giovani decapitata della figura di riferimento maschile e che fino ad ottobre dell’anno scorso, è stata cresciuta e “coccolata” dalla “mamma-chioccia-boss” Annunziata D’Amico: sorella di Antonio e Giuseppe, i founder del clan, “la passillona” era una donna dal forte carisma e che può essere definita un’autentica “mamma della camorra” capace di garantire a quei ragazzi, al contempo, l’autorità di un padre e “il calore materno”.
Era Annunziata a custodire i “kalash” di cui parla Abbagnara in Robinù, era lei a riporli tra le mani di quei ragazzi ed era ancora lei a impartirgli gli ordini da eseguire. Dalle intercettazioni che hanno portato ai 94 arresti maturati lo scorso giugno, trapela che “la passillona” dispensava anche consigli in merito alle armi più consone da utilizzare per le stese piuttosto che per gli omicidi e metteva perfino i giovani in guardia dai luoghi dove trascorrere il tempo libero, intimandogli di tenersi lontano dai posti frequentati dai “bravi ragazzi”. Una madre che educa alla camorra, comprensibilmente facilita quelle giovani menti a concepire ed adottare quella condotta come giusta e naturale. Un’associazione di fatti e persone rafforzata dalla preponderante e ricorrente presenza di figure femminili, a vario titolo, all’interno del clan: donne che spacciano nelle aree verdi del rione, tra i bambini che giocano, donne che educano a delinquere e che non si fermano neanche davanti alla minaccia delle armi. Com’è successo a Marianna Abbagnara, “portata in gloria” dai giovani del Conocal, al pari di Mariano, si beccò una pallottola mentre era in auto con la bambina, quale forma di avvertimento per il boss D’Amico. Arrestata lo scorso giugno, sta scontando la pena ai domiciliari, ancora e sempre lì, nel Rione Conocal.
Mariano Abbagnara, prima di andare incontro al suo “battesimo d’Onore” forgiando tempra e muscoli tra le mura del carcere, era uno dei tanti, a dirla tutta, era uno dei più timidi e schivi della “banda”: baffi o barba sempre curati, al pari della pettinatura, più trasandato, invece, il look, che spesso ultimava esibendo occhiali da vista che gli conferiscono un opinabile piglio da intellettuale, quasi a non volersi prendere troppo sul serio o a sbeffeggiare chi vive di cose serie, perché Mariano non badava alla forma, ma alla sostanza. Mariano non voleva apparire, Mariano voleva e vuole essere.
Raffaele Stefanelli, “’o russ’”, non ha dubbi quando deve reclutare un complice per uccidere Raffaele Canfora, esponente del clan Vianello Grassi di Secondigliano: il livore che “faccia janca” manifesta al cospetto delle pistole e del sangue e che in carcere gli stanno procurando un’autentica “crisi d’astinenza”, fanno di lui il partner perfetto.
Il Mariano Abbagnara che vestiva i panni della sentinella-gregario del clan tra le mura del Conocal era profondamente diverso da quello che con orgoglio racconta le sue gesta dinanzi ad una telecamera: non solo nel viso e nella mimica, ma soprattutto nella sicurezza che ostenta e in quella stoffa da leader che ha paradossalmente maturato tra le mura del carcere. Il giovane “faccia janca” scalpita per ritornare in libertà e ancor più impazienti appaiono i ragazzi del rione che lo osannano come un re: le sue iniziali sono un hashtag che impazza sui social. #MA: terminano spesso così i post di amici e parenti su facebook, un modo per ricordarlo per ricordare che Mariano è in mezzo a loro, perché è uno di loro; le sue foto, il suo soprannome, frasi ad effetto, enfatizzate dalle “emoticon della camorra”, piccoli, costanti e sempre più incalzanti segnali che, unitamente al monito più eloquente, inviato al clan dal carcere di Airola dove il giovane è detenuto, lasciano intravedere il disegno che si cela tra le pieghe del destino di “faccia janca”. C’era lui a capo della rivolta che l’estate scorsa ha mandato in tilt per diverse ore la struttura penitenziaria minorile in cui sta scontando la pena: Mariano ha voluto dimostrare “ai capi” di possedere la stoffa del leader e adesso mira dritto alla riduzione di pena, per tornare il prima possibile tra le rovine di quel rione che già si prepara ad accoglierlo come un capo e che vuole ritornare a calcare vestendo gli abiti di un boss e non di un “Robinù” qualunque.