Samuele è uno dei tanti invisibili che popolano i margini delle strade, di Napoli e del mondo, avvolti in un fortunoso abbraccio di coperte e cartoni, la cui lotta contro gelo e miseria, viene scandita dal fugace e sicuro passo dei mocassini incravattati e dal compulsivo ticchettio dei prodigiosi stivali in lucida e scaltra pelle, dei distaccati e distratti passanti.
Samuele è l’istantanea che sintetizza e personifica, in maniera cruda ed agghiacciante, la spoglia realtà che gronda dalla coscienza sociale della nostra gente e che trova la sua più sintetica e loquace espressione nel termine “indifferenza”.
Samuele era un “napoletano adottivo” che ha trascorso la sua intera esistenza in veste di “figlio illegittimo del mondo“, costretto ad arrancare un domicilio inventato nei pressi di palazzo San Giacomo, sotto gli occhi di quelle Istituzioni, presenti fisicamente in quella sede, ma puntualmente e tristemente assenti, in quella sede e nei pressi di essa.
Samuele, forse, aveva un nome diverso, ma questo non è certo.
Così come non si hanno certezze riguardo la sua età, le sue origini, la sua storia.
Quelli come Samuele non hanno identità, ma identificano uno squarcio di umanità ben definito: quella della quale non abbiamo tempo di curarci o della quale è bene non curarsi, per non farsi carico delle grane altrui; quella che viene sagacemente adattata ad “ammortizzatore di coscienza”, allorquando gli indirizziamo qualche centesimo, quale mero ed effimero prezzo della nostra “buona azione quotidiana“; quella che tendiamo a schivare, perché ci ricorda la condizione più straziante e disumana nella quale si può rischiare di ritrovarsi, quando si perde “tutto” e la vita è l’unica cosa che ti rimane.
Samuele l’altra notte ha perso “tutto”, dopo essere uscito sopraffatto dall’ennesimo braccio di ferro contro il freddo.
Adesso, quella coperta, unica ed esile arma della quale Samuele disponeva, giace al suolo, orfana e solitaria, priva di quel corpo, in compagnia di un cappuccino, lì premurosamente adagiato da un passante e destinato a rimanere imbevuto ed inconsapevole di incarnare quel labile brandello di speranza nella quale l’umanità deve aggrapparsi per tenere in vita la sua “umanità”.
Forse, lasciare lì la coperta di Samuele, potrebbe servire a ricordarci che il gelo dell’indifferenza uccide più del freddo della neve.