Le madri più giovani d’Italia vivono in Sicilia: Catania e Palermo occupano il gradino più alto della classifica, seguite da Napoli e Bari. Dettaglio tutt’altro che trascurabile, i dati relativi alle province non sono compresi, in quanto l’ISTAT ha preso in considerazione solo i principali centri urbani. È facile intuire, infatti, che includendo anche i dati relativi alle periferie, si discuterebbe di numeri e proporzioni ben più elevati.
Provengono dal meridione più della metà delle 7.819 baby mamme, con età inferiore ai 19 anni, che hanno partorito nel 2014: questo è quanto traspare dallo suddetto studio di analisi di un fenomeno perennemente in crescita.
La mancanza di istruzione, con un tasso di assenteismo scolastico tutt’altro che trascurabile e che ben racconta il pessimo feeling di una fetta troppo nutrita di bambini ed adolescenti meridionali con le istituzioni scolastiche e con la cultura in senso più ampio; l’assenza di presidi o di luoghi di aggregazione giovanili capaci di allentare la morsa della noia e dell’ozio che tiene in ostaggio quelle giovani vite; la disoccupazione, l’incapacità di investire sul proprio futuro o di tracciare un progetto di vita utile a conferire un input motivazionale ai giovani, e, infine, le gravidanze precoci: aspetti che costantemente si rilevano nelle aree densamente popolate, ma in balia del degrado e della povertà, e che concorrono ad incrementare il sottosviluppo.
Un paradosso che, per assurdo, con l’evoluzione e lo sviluppo socio-economico delle aree urbane, tende a disegnare uno strano assemblaggio della popolazione, geograficamente distribuita in maniera più o meno eterogenea sul territorio, ma fortemente diversificata, soprattutto sotto l’aspetto culturale.
Napoletani, siciliani, baresi che annoverano le stesse radici, ma che vivono in condizioni e in convinzioni che distano anni luce.
A pochi chilometri – in alcuni casi, anche a pochi passi – di distanza dalle aree urbane in cui risiedono elevate concentrazioni di studenti universitari e di una fetta di popolazione che conduce uno stile di vita qualitativamente ottimale, insorgono “le realtà-ghetto”: i contesti non necessariamente riconducibili alle zone che accolgono alloggi popolari, ma anche strade, vicoli, cortine, che giacciono a ridosso delle grandi aree urbane, ma che non riescono a beneficiare degli aspetti positivi che le contraddistinguono. Autentiche linee d’ombra dove non batte mai il sole.
Giovani laureande, laureate, plurilaureate che inseguono una carriera e delle ambizioni ben marcate su un versante; sull’altra sponda, invece, ragazze che si rifugiano in lavori saltuari o di quelli facilmente assorbibili dal contesto al quale appartengono: estetiste o parrucchiere a domicilio, venditrici porta a porta di abiti ed accessori, reclute di imprese di pulizie che fanno capo ad aziende rigorosamente fantasma e puntualmente controllate e gestite dalla criminalità organizzata.
Da un lato, ragazze appassionate di arte, in tutte le sue forme e sfaccettature, che vanno in giro per mostre e musei, frequentano cinema e teatri, senza disdegnare i luoghi cult della movida cittadina; dall’altro, giovani che faticano a raggiungere i centri urbani o le realtà più popolate dai loro coetanei, perché non dispongono di un mezzo di locomozione e i trasporti faticano ad assicurare un collegamento efficiente e continuo, soprattutto al calar del sole. Quindi, a queste ultime, non resta da fare altro che ritrovarsi nei luoghi di aggregazione “improvvisati” tra le rovine dei luoghi in cui vivono. Per ammazzare la noia o per assicurarsi un posto in sella ad uno scooter capace di condurle lontano dalla desolazione del contesto, si fidanzano giovanissime e giungono a scoprire e praticare il sesso, talvolta, perfino quando il corpo non è ancora fisiologicamente pronto per affrontare quell’esperienza. La mancanza di un’educazione e di una cultura consone ad inculcare “i pericoli” nascosti anche dietro una pratica piacevole come il sesso, non solo in termini di gravidanze precoci, ma anche di malattie sessualmente trasmissibili, concorrono a fare il resto.
La maggior parte delle ragazze riconducibili a questa sfera socio-emotiva, non sa com’è fatto un preservativo e non conosce metodi anticoncezionali alternativi. Sostengono che il coito interrotto sia un contraccettivo e che praticare rapporti sessuali completi nei giorni immediatamente precedenti e successivi alle mestruazioni – in alcuni casi anche durante il ciclo mestruale – rappresenti il modus operandi più sicuro per sventare una gravidanza.
Inoltre, proprio la difficoltà di riuscire a conquistare un’indipendenza economica utile a “fuggire e sfuggire” a quel contesto alienante per i giovani, converge nel desiderio di fondere i rispettivi malesseri nell’insorgenza di un nucleo familiare, imponendo quella volontà ai genitori mettendo al mondo un bambino. Quello che in passato avveniva con la classica “fuitina”.
Un figlio diventa così un’arma inoppugnabile per andare incontro ad una vita diversa, ma anche una valvola di sfogo attraverso la quale ricercare una nuova motivazione e un senso inedito da imprimere alle proprie giornate. Crescere un bambino, prendersi cura di un marito e occuparsi della casa, rappresenta il massimo modello sociale al quale ambire per quelle ragazze, prive di ambizioni personali.
In alcuni casi, un bambino rappresenta un modo per usufruire delle sovvenzioni economiche previste dallo Stato e, per quanto possa sembrare assurdo, nel terzo millennio accade che una giovane ragazza decida di mettere al mondo un figlio anche solo per accedere all’assegno di maternità, al bonus bebè e alle altre agevolazioni statali.
È facile intuire che quello riconducibile alle baby-madri è un dato statistico che rappresenta la risultante finale di una serie di problematiche e di strutture ideologiche molto più estese e complesse e che meriterebbero un’analisi più oculata ed accurata per arginare la allarmante dilagante fenomeno del sottosviluppo.