Una segnalazione giunta in Procura che segnalava la presenza di una bimba nella casa di una coppia di ultraquarantenni: tanto è bastato per far scattare le indagini che hanno portato allo smascheramento di un falso riconoscimento di una neonata nel napoletano.
La coppia aveva presentato una domanda di adozione al Tribunale per i minorenni, interrogato sulla presenza della piccola in casa, l’uomo ha dichiarato di aver avuto una relazione extraconiugale con una donna dalla quale era nata la bambina e che la moglie aveva perdonato l’infedeltà ed accolto “l’incolpevole bambina” nella sua famiglia col consenso della madre naturale. Le prove acquisite hanno consentito in tempi brevi al Tribunale per i Minorenni di Napoli di allontanare la minore dal nucleo familiare e, una volta esclusa la paternità attraverso la prova del Dna, di dichiararla adottabile.
Un’associazione di fatti e persone che non di rado si ripete tra le discrete mura di diverse realtà.
Coppie benestanti che non riescono ad avere figli e giungono a “comprare” un bambino in maniera illegale: un fenomeno tutt’altro che sporadico.
Una donna di colore, giunta in Italia giovanissima e che vive nel casertano da oltre 30 anni, racconta che prima della “strage di Castel Volturno”, il business più prolifero dei clan della zona era proprio “la tratta dei bambini”.
All’epoca lavorava come aiuto-parrucchiera in un salone, insieme a molte ragazze con le quali condivideva passato, presente e povertà.
È dura la vita della donne di colore che scelgono di non prostituirsi, o meglio, come la stessa donna specifica: “alle quali viene concessa la possibilità di non prostituirsi, perché sanno salvarsi, perché non finiscono nelle mani degli uomini sbagliati o non cedono alla tentazione del facile guadagno”.
La donna racconta che “la tratta dei bambini” è un modo comodo e prolifero per tamponare gli “incidenti di percorso” delle prostitute, ma anche per le ragazze che s’imbattono in una gravidanza indesiderata e non hanno il coraggio di abortire.
La donna spiega che nella comunità delle donne di colore dell’epoca, le prostitute con il pancione erano costrette a lavorare fino a quando non sopraggiungevano le doglie e che molti uomini erano anche disposti a pagare un somma di denaro superiore per concedersi una scappatella con una donna gravida.
“I bambini venivano venduti come conigli, senza un minimo di tatto da parte dei “papponi”, senza la minima titubanza da parte delle madri, nella maggior parte dei casi. Le più giovani a volte cadevano nell’errore di chiedere di vedere il bambino prima di darlo via ed erano costretti a strapparglielo con la forza dalle braccia, tra lacrime e imprecazioni. – racconta la donna – C’era troppa fame e i soldi che venivano proposti facevano gola a tante ragazze. Le donne non sapevano in quali mani sarebbero finiti quei bambini che non potevano sentire loro e non potevano chiamare figli.
Nei ghetti regnano regole diverse rispetto a quelle dello Stato: è così nelle comunità africane, ma anche nelle realtà italiane dove c’è tanta fame, delinquenza e miseria. Quindi, se eri incinta e non volevi tenere il bambino, ti rivolgevi al “capo” della comunità che provvedeva a tutto. L’unica pensiero delle donne era portare al termine la gravidanza, partorire e intascare i soldi.
I nostri figli possono essere ovunque. Sparsi per il mondo o nel palazzo di fronte e noi non lo sappiamo. Per molto tempo si era sparsa la voce che molti neonati venivano utilizzati per il traffico internazionale di organi.
La vita di un bambino data in sacrificio per salvare una vita ricca.
È inutile scandalizzarsi, lo sappiamo tutti che succede e che questo tipo di traffico esiste e si consuma soprattutto sulle sciagure di noi neri migranti.
Ho venduto due figli con questa consapevolezza quando ero giovane e adesso che non posso più averne e mi ritrovo sola, me ne pento amaramente. I soldi che ho ricavato hanno tamponato per qualche tempo la fame, ma dopo sono tornata di nuovo a lottare per sopravvivere. Con un’angoscia dentro che non mi ha mai abbandonato. Non è mai trascorso un solo giorno in cui non mi sono chiesta dove sono i miei figli, cosa fanno, che aspetto hanno e se li ho mai incrociati. Credo che se fosse successo me ne sarei accorta, il mio cuore mi avrebbe inviato qualche segnale per permettermi di riconoscerli.. passerò tutta la vita che mi resta a pentirmi per aver scelto di privarmi della gioia più grande e più bella della vita, quella di essere mamma. Posso solo augurarmi che siano vivi e felici e che siano capitati in una famiglia che non gli farà mai mancare niente. La sera, quando mi ritrovo da sola nel mio monolocale, penso sempre a loro e provo a immaginare come sarebbe la mia vita se ci fossero loro con me. E mi piace molto di più di quello che vedo davanti ai miei occhi.”