Il fondatore del noto social network Facebook, Mark Zuckerberg, che grazie a questa piattaforma sociale è diventato ricco e famoso, probabilmente non avrebbe mai pensato di diventare anche protagonista di un’indagine per istigazione all’odio. Invece questo è proprio quello che è accaduto.
Una storia che se da un lato richiama la triste vicenda di Tiziana Cantone – ragazza morta suicida proprio per delle immagini postate su Facebook da alcuni amici, rimosse troppo tardi dal social e dopo l’inizio di un’azione legale – , dall’altro se ne discosta, perché in Germania, precisamente la Procura di Monaco, hanno agito prontamente a tutela dei propri cittadini.
La querela in questione infatti riguarderebbe proprio la Germania e l’azienda più famosa al mondo, ponendo l’attenzione su una serie di pagine e contenuti virtuali presenti sul social; contenuti che avrebbero – secondo i giudici tedeschi – una fisionomia del tutto criminale, a cui si sono aggiunte anche delle vere e proprie minacce e perfino negazioni del genocidio ebraico.
A dichiarare ufficialmente quanto detto sin ora è il settimanale tedesco Der Spiegel, che cita informazioni in proprio possesso. I vertici di Facebook sono accusati di incitamento all’odio razziale per non avere rimosso dal social network post con minacce di morte e negazione dell’Olocausto.
L’indagine, come è stato spiegato su Der Spiegel, è partita a seguito di una denuncia presentata dall’avvocato Chan-jo Jun di Wuerzburg, in cui si segnalava che anche dopo ripetute segnalazioni Facebook non aveva rimosso contenuti illegali. Ma anche i precedenti non sono incoraggianti. Il settimanale ricorda infatti come un’altra inchiesta aperta lo scorso marzo dalla procura di Amburgo contro sempre Zuckerbeg, Sandberg ed altri top manager, non andò a buon fine perché tutti non vivono in Germania, e si limito a prendere di mira i referenti che operavano nel Paese.
In base alla legge tedesca Facebook – e tutti i social network ed in generale qualsiasi società che opera sulla rete- è obbligata a rimuovere questo genere di contenuti una volta che ne abbia contezza sua sponte o gli vengano segnalati, ma non sempre è così. A tal proposito, secondo dati del ministero della Giustizia federale, Facebook ha eliminato il 46% dei messaggi vietati, YouTube (controllata da Google e a sua volta coinvolta) ne ha eliminato il 10% mentre Twitter solo l’1%.