È una composta e sincera esaltazione della napoletanità, un tributo a cuore aperto alla passionalità e alla disperazione di un popolo e della sua terra, dalle cui pieghe trapela un altrettanto sentito omaggio ad uno dei suoi più coloriti ed eclettici cantori: Federico Salvatore.
Questo è il sentimento che trapela da “Sono apparso a San Gennaro” in scena al Teatro Cilea di Napoli fino al 30 ottobre. Scritto da Federico Salvatore e Mario Brancaccio, con la regia di Bruno Garofalo, lo spettacolo è pregevolmente portato in scena da un cast di tutto rispetto: Lello Giulivo, Mario Brancaccio, Patrizia Spinosi, Oscarino Di Mario, Gennaro Monti, Francesco Viglietti, Simona Esposito, Nicola D’Ortona, Luisanna Taranto, Antonio De Francesco e Tonia Carbone.
Mattatore dello spettacolo Federico Salvatore, nel duplice ruolo di “mammo” disperato e “grillo parlante” che personifica la voce della coscienza dei napoletani, oltre che del partecipato sentimento di esasperazione e disperazione che nasce da qual genere di avversità che scandiscono la vita di tantissimi napoletani: la disoccupazione, la povertà, il vortice di disperazione nel quale rimane imbrigliato chi finisce nella morsa del “cravattaro” e, soprattutto, un’ intima, suggestiva, accorata e profonda parentesi dedicata al mondo omosessuale con una struggente interpretazione di “Vennimme ammore”, uno dei brani più celebri dell’artista napoletano.
In effetti, l’intero spettacolo è ringalluzzito dal brillante mix tra i brani che hanno reso celebre Federico Salvatore negli anni 90’, come “Ninna nanna”, “Incidente al Vomero”,” Azz”, “Donna Amalia”, “‘O figlio d’’o zappatore” e testi, parole e suoni che sanciscono l’evoluzione artistica di un cantore napoletano fortemente ed orgogliosamente legato alla sua terra e alle sue origini.
Particolarmente acuta è la scelta degli abiti di scena che attraverso simboli peculiari della tradizione e della cultura napoletana enfatizzano il messaggio portante della trama, imprimendogli un fresco respiro di modernità, così come la scenografia, semplice ed essenziale, che riproduce una piazza, una delle tante nelle quali ci si può imbattere passeggiando per la città, viene autenticamente avvolta in un velo di incantevole poesia dal quale trasudano diverse e contrastanti emozioni: collera, rabbia, speranza, amore, desiderio, disperazione, dolore, sofferenza, dignità, malcontento, proprio come se fosse l’anima di Napoli, tumefatta, martoriata e straziata da mille e più avversità, ma che, nonostante tutto, non smette mai di abbracciare i suoi figli e vegliare su di loro.
La trama nasce e tramonta nel segno dell’icona-emblema della napoletanità: San Gennaro.
Il Santo patrono, il sangue di Napoli che si scioglie per ricordarci che siamo figli della stessa madre e che nelle nostre vene scorre lo stesso sangue.
Per questo San Gennaro non può apparire ai fedeli, per consegnare ai napoletani la consapevolezza che a noi, proprio a noi, tocca fare la nostra parte.
Il monito che questo scampolo di cruda e viva magia estrapolato dalla realtà consegna agli spettatori, vale decisamente il costo del biglietto. E anche di più.