Era il 25 ottobre del 2005 a Ponticelli: un giorno qualunque, improvvisamente destinato ad assumere le sembianze della data da ricordare, perché associata ad una tragedia imprevedibile, ma evitabile.
Via Carlo Miranda è una delle tante strade che accoglie palazzoni di case popolari e terra incolta, nel limbo di terra compreso tra il parco comunale intitolato ai fratelli de Filippo e quello che all’epoca dei fatti si apprestava a diventare l’ospedale del Mare. È lì che giaceva quel palazzo in costruzione, abbandonato da anni, recintato in maniera grossolana e quindi facilmente accessibile a chiunque, soprattutto ai bambini e ai ragazzini del quartiere, notoriamente attratti da quella tipologia di strutture abbandonate a sé stesse, perché lì si può giocare indisturbati, sprezzanti della pericolosità insita nel raggirarsi tra le pareti del degrado e della fatiscenza, inconsapevoli del fatto che il pericolo può celarsi dietro l’angolo e non per modo di dire.
Francesco Paolillo è un quattordicenne che come tanti ragazzini del quartiere è solito recarsi tra i relitti di quella fatiscente costruzione per giocare. Quel giorno, però, Francesco precipita nella tromba dell’ascensore dal sesto piano.
Il giovane muore in ospedale, forse, con la responsabile colpa del ritardo con il quale i soccorsi sono giunti sul posto. Il corpo agonizzante di Francesco ha atteso i soccorsi per circa un’ora e mezza, secondo la versione dei testimoni del quartiere che denunciano di aver fatto telefonate, a lungo a vuoto, al 118, ai vigili del fuoco, fino all’arrivo dei carabinieri.
Un’ora e trenta minuti: davvero troppi, considerando che il tempo necessario per ricoprire la distanza che intercorre tra l’ospedale evangelico Villa Betania di via Argine e il luogo in cui si è consumata la tragedia, non supera i 5 minuti. Francesco, era il terzo di cinque figli, frequentava il primo superiore, era iscritto alla scuola di perito elettrotecnico Ipia Sannino di Ponticelli. Suo padre Giovanni, è un dipendente del Bacino Salerno 2, la madre, Rosaria, 43 anni, è una casalinga.
Il fratello Alessandro – che dopo la sua morte ha istituito un’associazione a lui intitolata – lo ricorda come un ragazzo generoso, solare, emotivo, vivace, simpatico, affettuoso, gentile, intelligente, riservato.
“Era il figlio che ogni mamma vorrebbe avere, – racconta Alessandro – amava il calcio e ancora di più organizzare partite in cui coinvolgere i suoi amici.
Sapeva fare tutto, aveva le mani d’oro e una passione innata per i motori: riparava macchine, motorini e per questo lo chiamavano “Francesco il meccanico”.”
Nonostante siano trascorsi diversi anni, rimane ancora vivo il ricordo di quella tragedia nel cuore dei familiari di Francesco e dell’intera comunità di Ponticelli che non ha dimenticato il dolore che incupì l’aria durante uno dei giorni più tristi e più sofferti della storia del quartiere.