Succede non di rado, alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia che si trovi il meglio del cinema italiano, questa volta nella sezione “Giornate degli Autori – Venice Days”, si trovava Indivisibili di Edoardo De Angelis.
Una progressione, quella del cineasta napoletano, dal bizzarro buon esordio con la commedia alimentare Mozzarella Stories, ha poi affinato la sua visione con il discontinuo Perez (tanto interessante nell’immagine e nella regia quanto fragile nella narrazione), per arrivare a definitiva maturazione creativa e registica con Indivisibili, che rappresenta quel salto di qualità che lo consegnerà a un nuovo “status”, quello degli autori, senza perdere la sua naturale propensione per la narrazione di genere popolare.
Il film è ambientato nella provincia di Castel Volturno, in un territorio maltrattato, derubato, umiliato, periferia geografica e umana, i cui abitanti si arrendono alla vita, trascinandosi avanti. L’unico faro è la religione di Don Salvatore (Gianfranco Gallo), un cattolicesimo venduto, che promette speranze in cambio di denaro, da chi non ne ha. In questo angolo di mondo nascono Viola (Angela Fontana) e Dasy (Marianna Fontana), due gemelle siamesi unite dal bacino. Grazie al loro talento canoro mantengono i genitori e gli zii che le accompagnano a matrimoni, comunioni, feste di paese e serenate con il camioncino riconoscibile dalla scritta Indivisibili. Questo è il nome della loro canzone di punta (composta per il film da Enzo Avitabile, insieme a Drin Drin e Tutt’ugual song’e criature ). Le ragazze sono conosciute da tutti, soprattutto da quando Don Salvatore le presenta come delle sante: la loro unione è voluta da Dio e nella loro innocenza sono dispensatrici di miracoli. Ecco che tutti le vogliono vedere e toccare, se la nascita le ha costrette a vivere una vita diverse dalle loro coetanee, la loro sorte le ha private della libertà di essere donne per farle attrazioni da circo, statue, burattini.
Tutto sembra normale e immobile nel loro piccolo mondo, ma le ragazze stanno crescendo, sono ormai maggiorenni e qualche crepa appare in questo status quo. Un manager di successo le vuole ingaggiare e non cela la sua preferenza per una di loro e un chirurgo (un cameo di Peppe Servillo) si offre di investigare la possibilità di separarle. Quando questa possibilità di separazione diventa reale, il loro mondo comincia a sgretolarsi. Quasi un essere soprannaturale con due teste, le ragazze hanno due caratteri diversi ma parti entrambi di un unico cuore. Le loro menti volano e sognano, ma il loro corpo pesante le tiene ancorate a terra. La loro dolorosa diversità di vedute sull’eventuale separazione crea un’allegoria potente del dolore della trasformazione del corpo da bambine in donne e del distacco dal nido.
Sta proprio nella voglia di questo cambiamento un elemento decisivo nella narrazione: è solo Dasy a volere a tutti i costi la divisione. Tra le due è proprio lei ad essere il motore del racconto. Sono i suoi desideri di “normalità” a muovere la vicenda fino alle massime vette drammatiche.
È come se le gemelle rappresentassero i due emisferi del cervello: laddove Viola è la parte razionale ed equilibrata, Dasy è quella emotiva e sentimentale. Le pulsioni al cambiamento dell’emisfero sinistro sono contenute da quello destro, che ha paura e si accontenta del poco che ha. Due personalità completamente diverse che si completano in una coppia che ha bisogno di entrambi gli elementi per sopravvivere.
Edoardo De Angelis mette in scena una favola d’ambientazione contemporanea stretta tra il degrado e la corruzione e ci racconta di un’umanità ai margini, in cui la locale comunità degli esclusi s’incontra e si fonde con chi è fuggito da guerre e condizioni di povertà estreme.
In questo ritratto sociale, non troppo dissimile dall’Inferno dantesco e già visto, le due sorelle si trovano costrette ad intraprendere un viaggio fisico e psicologico per raggiungere l’individualità e allontanarsi dal peccato. Ma non sarà certo un viaggio semplice e, paradossalmente, solo il martirio potrà forse donare ciò che cercano entrambe.
E’ anche e soprattutto un racconto di formazione, è una storia di ricerca di identità, di crescita e di formazione, in un contesto particolarmente difficile. Se da una parte c’è il radicamento forte ad una terra ed alle sue tradizioni, dall’altra c’è un’insolita vita vissuta sempre in due; se ci sono primissimi (doppi) piani, a fare da controparte si trovano puntualmente contropiani i cui ampi spazi si aprono verso un’immaginaria terra promessa; se si fa leva su sentimenti universalmente riconosciuti, si fa anche riferimento ad un’iconografia religiosa che guarda al misticismo. Il regista sembra evidenziare la doppiezza di ogni elemento che messi insieme creano un discorso filmico di una coerenza ed un interesse molto elevato.
Anche se il risultato finale può apparire sbilanciato, a causa di alcune intermittenze di racconto, soprattutto nella seconda parte del film in cui il ritmo rallenta, certi eccessi grotteschi non sono tenuti a freno (il sorrentiniano teatrino freak sulla barca) e i diversi finali conducono ad un finale meno intenso del previsto, sono presenti una regia e una scrittura molto profonde, studiate, ma allo stesso tempo ruvide e graffianti, che non si vedevano, almeno nel panorama italiano, da tanto tempo.
La sceneggiatura è opera di Barbara Petronio e Nicola Guaglianone (sceneggiatore anche di Lo chiamavano Jeeg Robot), il modo in cui, poi, la fotografia, intensa e suggestiva, e il montaggio sanno valorizzare il tutto, così come le musiche di Avitabile, rendono il film di un alto livello qualitativo senza rinunciare all’intrattenimento, che ha più chiavi di lettura ma che ha il coraggio di pigiare sull’acceleratore dell’emotività.
Questo anche grazie agli ottimi interpreti (Marianna e Angela Fontana, Antonia Truppo, Massimiliano Rossi, Toni Laudadio), poco conosciuti ma che ci regalano scene degne del teatro di Eduardo.
Edoardo De Angelis produce un film di piccolo budget, ma pensa e fa cinema in grande, esplorando con coraggio strade poco battute dal nostro cinema, perchè dirige una favola immersa nel reale che emoziona e appassiona analizzando in modo nuovo una serie di conflitti da sempre esistenti come bello e brutto, canonico e diverso, ma soprattutto il riscatto personale di due anime pure che metaforicamente può essere considerato il riscatto di un Sud intero che può essere conquistato solo attraverso la conquista della normalità.
Indivisibili è proprio questo, un ritratto d’autore che implora aiuto, che va alla ricerca della bellezza, della speranza e del talento nelle pieghe più remote dello sporco, del nero più nero. Ogni elemento è incastrato a dovere, ogni scena rappresenta un determinato simbolo e ha uno specifico significato. Anche quando il racconto si fa più fantasioso, surreale, e invoca l’aiuto del cielo, non perde mai la rotta, non abbassa mai le vele, bussa sulle botti di vino, scomoda la tradizione più solenne, accompagna con la poesia l’altra poesia delle immagini.
Annunziata Ilardo